Eric James Borges, 19 anni e si è tolto la vita mercoledì nella sua casa in California.
Omosessuale, aveva raccontato di aver subito atti di bullismo e violenze piscologiche e fisiche anche da parte della famiglia. Diventato attivista del Trevor Project, lavorava per il sostegno psicologico agli adolescenti gay.
Lascia sconcertati scoprire che ancora oggi, nel 2012, in un paese “evoluto” quale gli Stati Uniti d’America, si muoia ancora di omofobia.
Sì, si muoia. Indirettamente, ma si muore ogni giorno così.
Eric James Borges, era un giovane gay di 19 anni, cresciuto in una famiglia cattolica ed estremamente conservatrice che, invece di proteggerlo da “pericoli” esterni, amarlo e accoglierlo così com’era, lo ha sempre oltraggiato e ferito in quanto perverso, disgustoso, contronatura e condannato all’inferno.
Quale dio ama solo alcuni dei suoi figli e rifiuta i figli non conformi? A cosa poi?
Eric ha subito per anni molestie e violenze, soprattutto a scuola dove era “visto” solo perché gay. Esisteva unicamente come gay e quindi era “giusto” essere punito per questo. Tanto da abbandonare la scuola per portarla a termine da privatista.
Uno spiraglio di luce Eric l’ha avuto quando ha incontrato i volontari del Trevor Project, organizzazione americana che si batte per promuovere l’accettazione di giovani omo e transessuali e prevenire il suicidio di questi.
Non solo. Eric ha ripreso vita frequentando questo gruppo e iniziando a fare egli stesso volontariato con altri giovani nella sua stessa situazione.
Eppure, anche spingere altri a non mollare mai (come testimonia un suo video per il progetto on line It Gets Better), a non abbassare la testa, a non vergognarsi di quello che si è, non è bastato a salvare la sua di vita.
Potrà sembrare eccessivo o spiegabile banalmente con i moti dell’animo adolescenziale, ma arrivare al suicidio perché rifiutati in quanto omosessuali o transessuali è pari ad essere uccisi.
Doversi guardare sempre le spalle, vivere in perenne stato d’ansia, con il terrore di essere nuovamente presi in giro davanti a tutta la scuola o addirittura malmenati. Iniziando storielle con pseudo-fidanzatine solo per sembrare un po’ più etero ed essere lasciati in pace, a volte esagerando gli aspetti sessisti o eterosessisti per essere credibili, controllare ogni sguardo, ogni gesto, ogni parola, ogni intonazione di voce, ogni inflessione che possa tradire la propria vera essenza. No. Questo è l’inferno, non certo quello prospettato dai genitori di Eric.
Le vittime di omofobia raccontano di disperazione e angoscia, paura e vergogna, depressione e desiderio di farla finita in quanto considerati perversi, malati, handicappati o anormali. Noi sappiamo invece che la malattia da curare è l’omofobia.
E tranquilli…si può guarire!
Paola Biondi
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