RASSEGNA STAMPA : MONDO DONNE

Otto marzo, parliamo di uomini. Gli uomini che odiano le donne ora chiedono aiuto. Colpi di machete e ustioni con acqua bollente: le mogli violente del Kenya. Tra casa e lavoro, la doppia vita delle donne italiane. Ue, donne più numerose e longeve ma penalizzate sul lavoro.

Otto marzo, parliamo di uomini. Gli uomini che odiano le donne ora chiedono aiuto. Colpi di machete e ustioni con acqua bollente: le mogli violente del Kenya. Tra casa e lavoro, la doppia vita delle donne italiane. Ue, donne più numerose e longeve ma penalizzate sul lavoro. Lavoro: le malattie che colpiscono le donne. 8 marzo: Amnesty International la dedica alle donne del Medio Oriente

 

Otto marzo, parliamo di uomini.

(E-Il Mensile Online) Di quelli che usano violenza contro le donne. E che, in forma spontanea, o più spesso spinti dalle compagne, chiedono aiuto. Il primo passo è riflettere sul proprio comportamento, riconoscendolo. Il passo più difficile è uscire dalle mura domestiche, dove le violenze si consumano, e rivolgersi a un centro di ascolto. Sono ancora poche, ma in crescita costante, le persone che cercano di spezzare comportamenti che all’origine non hanno solo problemi legati a patologie individuali, a depressione o alcolismo, ma anche una forte matrice culturale. Il Cam (Centro di ascolto uomini maltrattanti) è uno di questi centri. Offre, gratuitamente, accoglienza e ascolto a chi ha commesso una violenza nei confronti del proprio partner o della propria moglie. Si trova a Firenze e ha avviato la propria attività nel 2009. Complessivamente, in tre anni è stato contattato da 153 persone. Numeri ancora irrisori, ma spia di un’evoluzione significativa. Se nel 2009 vi si sono rivolte 25 persone, nel 2010 sono salite a 50, mentre nel 2011 sono state 70.
Per quanto riguarda gli utenti del 2011, si tratta, nella stragrande maggioranza dei casi, di uomini di nazionalità italiana (56 persone). Seguono la nazionalità marocchina, peruviana e romena. La maggior parte di loro ha commesso violenza contro la compagna o l’ex compagna.
In quasi la totalità dei casi la violenza è stata di tipo fisico-psicologico. Gli utenti arrivano da tutta Italia, anche se, vista la localizzazione a Firenze del centro, gran parte degli uomini vive nella provincia del capoluogo toscano.
Sono state 19 le persone ad essere state prese in carico direttamente dal Cam, 13 quelle che hanno interrotto il percorso con il centro in modo non concordato dopo una serie di colloqui individuali . Ammontano a 17 quelli presi in carico da servizi territoriali o privati, 14 quelli che si sono dichiarati non interessati a seguire il percorso. Nell’ultimo anno, inoltre, si sono tenuti 100 colloqui di prima accoglienza e 47 sessioni di gruppo a cui hanno partecipato 12 uomini.
Sono progetti che includono percorsi talvolta più efficaci del carcere, in quanto abbassano le possibilità di recidiva. Dopo qualche mese, chi è sottoposto alla presa in carico, smette di essere violento sul piano fisico. Sono tuttavia alti i tassi di abbandono, e nel caso di misure alternative alla detenzione, questo significa un ritorno in carcere. Se l’accesso al centro è spontaneo, l’abbandono è spesso definitivo, e si perde contatto con il maltrattante.
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Gli uomini che odiano le donne ora chiedono aiuto

(Redattore Sociale) Terapie di gruppo, programmi trattamentali, centri d’ascolto: anche in Italia cominciano a diffondersi esperienze rivolte agli uomini che agiscono violenza sulle donne. E sono sempre di più in Italia coloro che bussano spontaneamente alle porte dei Centri di ascolto, dove a seguirli sono psicologi e volontari. L’obiettivo è insegnare a gestire l’aggressività, fino all’abbandono dei comportamenti violenti. Il primo centro voluto da un’istituzione pubblica – la regione insieme all’Ausl – è nato a Modena, si chiama “Liberiamoci dalla violenza”, ed è partito a dicembre del 2011: sono già 10 gli utenti. A Torino l’associazione “Il Cerchio degli uomini” mette a disposizione terapie di gruppo e il “Telefono uomo”, attivo da tre anni. A Firenze è presente il Cam, Centro uomini maltrattanti, che in 3 anni ha assistito 153 persone, nella stragrande maggioranza dei casi uomini di nazionalità italiana. A Milano, nel carcere di Bollate, ci sono invece i circoli per detenuti ed ex detenuti sex offender – autori di reati sessuali contro donne e minori – che finora hanno seguito 230 persone.
Quando si parla di violenza, una trappola da evitare è “attribuirla solo a una patologia individuale, alla depressione o all’alcolismo, senza riconoscerne la radice culturale”. E un altro errore da individuare è quello in cui si imbattono le campagne informative, “che mostrano donne vittime, con lividi, schiacciate in un angolo, soggetti che hanno bisogno di essere protetti da qualcuno, mentre si parla ancora poco di chi è l’artefice della violenza e del perché avvenga”.
I progetti dei Centri d’ascolto, se portati a termine, si rivelano “più efficaci del carcere, perché abbassano di molto le possibilità di recidiva”. A spiegarlo è Giuditta Creazzo, fra le coordinatrici del progetto europeo Muvi (Men using violence in intimate relashionships, terminato nel 2009) e autrice insieme a Letizia Bianchi del libro “Uomini che maltrattano le donne: che fare?” (Carocci editore, 2009). Il progetto Muvi ha studiato gli interventi già adottati in diversi Paesi europei nei confronti di uomini che agiscono violenza, in particolare dal centro Atv di Oslo, per poi formare operatori specializzati. Accanto a programmi trattamentali già esistenti all’interno di alcune carceri, generalmente rivolti a uomini che hanno commesso violenze sessuali, anche in Italia cominciano a diffondersi progetti “in comunità”.
Per la maggior parte si tratta di esperienze che si occupano di autori di maltrattamenti più che di violenza sessuale, di violenza domestica più che di azioni commesse al di fuori di una relazione. Ci sono programmi “ad accesso spontaneo, in cui gli uomini cercano aiuto, spesso spinti dalle compagne”, spiega Creazzo, “ma anche programmi che funzionano come alternative alla detenzione”. Fra le realtà che operano in questo senso c’è il Centro di ascolto uomini maltrattamenti, aperto a Firenze dal 2009 (http://www.centrouominimaltrattanti.org/), il “telefono amico” e i gruppi organizzati dall’associazione “Il cerchio degli uomini” di Torino, lo sportello per uomini violenti aperto dall’Ausl di Modena nel 2011. “Uno degli aspetti più critici di queste esperienze è riuscire a far sì che i partecipanti arrivino alla fine del programma”, continua Creazzo. “La percentuale di abbandono è infatti piuttosto elevata. Nel caso di misure alternative alla detenzione, questo significa un ritorno in carcere, se l’accesso è spontaneo l’abbandono significa spesso perdere ogni contatto con il maltrattante”.
Dalle testimonianze raccolte fra gli operatori, nel corso del progetto Muvi, si capisce anche perché l’abbandono è frequente. L’atteggiamento più comune fra gli uomini che usano violenza, spiega Creazzo, “è negare di avere un problema, oppure minimizzarlo. Chi ammette i comportamenti violenti tende a darne la responsabilità alla vittima”. Nelle relazioni dove c’è violenza c’è spesso “gelosia e controllo, e su questo purtroppo c’è ancora un sostegno culturale all’interno della società”. Il primo passo dunque è il riconoscimento del problema, “da qui si parte per far capire che l’uso della violenza è una scelta che si può evitare, anche se spesso dietro ad essa c’è una sofferenza, di cui è importante ci sia una presa in carico; nel momento in cui un uomo riconosce di essere responsabile, pur nella difficoltà di cambiare i propri comportamenti, è anche in grado di prendere parte ad un processo di cambiamento”.
Ma l’obiettivo più importante rimane cambiare la cultura della violenza all’interno della società: anche su questo versante l’apertura di centri d’ascolto e sportelli può essere d’aiuto. “Spesso oggi sono le donne a doversi fare carico del controllo dei comportamenti violenti maschili, c’è molta omertà e molta ‘collusione’, raramente si prende posizione di fronte agli aggressori e a tutt’oggi chi usa violenza è un gruppo socialmente invisibile”, spiega Creazzo: “è importante che della violenza si assumano la responsabilità gli uomini che la agiscono, e che dagli uomini “buoni” arrivino messaggi chiari di condanna. Avere un luogo che dice che la violenza maschile contro le donne è inaccettabile e che è responsabilità degli uomini farsene carico, è un messaggio sociale fondamentale”. (ps)

 

Colpi di machete e ustioni con acqua bollente: le mogli violente del Kenya

(Redattore Sociale) La zona di Nyeri, vicina al presidente Mwai Kibaki, sta diventando sempre più nota come una contea dove le mogli riducono in poltiglia i propri mariti
Nairobi: 460 mila casi denunciati di violenza da parte delle mogli. Di questi, 150 mila hanno riferito di subire abusi emotivi mentre 300 mila casi riguardavano assalti fisici. Secondo Nderitu Njoka, fondatore di un gruppo di pressione, c’è stato un incremento di 160 mila casi rispetto al 2009
In una società largamente patriarcale, come è quella del Kenya, pochi uomini vogliono rendere pubbliche le proprie storie di violenza. Secondo Maendeleo ya Wanaume, un gruppo di pressione che difende i diritti degli uomini picchiati (vedi lancio precedente), lo scorso anno sono stati denunciati 460 mila casi di abuso domestico nel Kenya centrale, in un’indagine che includeva l’area di Nairobi. Di questi, 150.000 hanno riferito di subire abusi emotivi mentre 300 mila casi riguardavano assalti fisici.
Secondo Nderitu Njoka, fondatore e presidente del gruppo di pressione, c’è stato un incremento di 160 mila casi rispetto ai dati precedentemente registrati nel 2009. “La questione degli uomini che vengono malmenati è iniziata molto tempo fa… solo che loro sono rimasti in silenzio ad affrontare gli abusi per paura di essere ridicolizzati”, ha detto Njoka “Questa è una questione di supremazia e le donne vogliono dominare e sfruttare gli uomini”.
Njoka da la colpa dei crescenti casi di violenza contro gli uomini ad una politica governativa parziale che tende a favorire le donne sotto le spoglie di una discriminazione costruttiva, come l’istituzione di un Fondo per le donne. “Quando è arrivato il governo e ha deciso di dividere la famiglia in categorie di uomini, donne e bambini, questo ha costituito un gran problema per le relazioni all’interno della famiglia”, ha detto Njoka. “Si combatte una battaglia persa quando si inizia a raggruppare le donne da sole e dar loro potere lasciando da parte gli uomini. Bisogna riunire la società e la famiglia e questo è l’unico modo per trovare una soluzione che fermi la violenza di genere,” ha affermato Njoka.
Il presidente del gruppo di pressione fa appello a programmi di sviluppo per migliorare il benessere degli uomini, dicendo che la crescente enfasi sul potere delle donne sembra rafforzare la credenza che le donne possano controllare i propri uomini. “Sembra esserci un sistematico abbandono degli uomini da parte del governo e sarebbe un buon punto di inizio se il crescente divario tra i due generi in termini di programmi di potere fosse colmato come un modo per assicurare l’equità nella famiglia,” ha detto Njoka.
L’opinione pubblica è comunque profondamente divisa sul perché gli uomini siano ora oggetto di violenza. Mentre le donne, incluse quelle che abusano dei propri mariti, insistono che lo fanno dopo che l’uomo ha bevuto troppo e ha mancato di provvedere alla famiglia, Njoka sostiene che la loro indagine ha rivelato che solo il 25 per cento degli uomini sono inaffidabili. “Non vengono abusati perché devono troppo ma per battaglie di supremazia,” ha detto. Parliamo di una percentuale molto bassa di uomini che non si prendono cura delle famiglie e non possono comunque essere picchiati perché non è questa la soluzione. Se il pestaggio può essere una soluzione, sono sicuro che le donne avranno problemi,” ha affermato Njoka. (Zachary Ochieng, traduzione di Sara Marilungo)

 

 Tra casa e lavoro, la doppia vita delle donne italiane

(Rassegna.it) Le donne, oggi, stanno meglio o peggio rispetto a 25 anni fa? Anche a questa domanda cerca di dare una risposta il Censis con la ricerca “I valori degli italiani” realizzata nell’ambito delle attività per le celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia. E il responso, non è propriamente lineare, come si legge tra i dati contenuti nella in una prima anticipazione della ricerca, che verrà presentata il prossimo 13 marzo a Roma presso l’Istituto della Enciclopedia Italiana.
Gli ultimi anni hanno infatti significato un miglioramento della condizione della donna nella società, ma i suoi compiti in casa e il modello tradizionale incentrato sul ruolo decisivo delle mogli in casa. Per il 79 per cento degli italiani, in effetti, c’è stato un progresso oggettivo rispetto al passato. I più convinti di questa tesi, però, sono i maschi (82 per cento), ma la percentuale è alta anche tra le femmine (76 per cento). Il 7 per cento degli italiani ritiene invece che la situazione delle donne sia addirittura peggiorata rispetto al passato. Mentre il 10,3 per cento delle donne, in particolare, pensa che la loro condizione non sia migliorata per colpa degli uomini che le hanno ostacolate.
Il 5,6 per cento, poi, crede che le donne stesse non si siano impegnate abbastanza per emanciparsi. Oggi le donne sono meno casalinghe rispetto al passato, ricevono più aiuto in casa da mariti e conviventi (ma non dai figli), eppure restano il perno della vita domestica. Lavorano di più fuori e hanno meno tempo libero da dedicare a se stesse.
Spulciando tra le cifre, si delineano poi i contorni di una società che cinque lustri hanno profondamente trasformato. Innanzitutto è diminuito il numero di casalinghe presenti tra le donne non anziane (fino a 64 anni di età): 833mila in meno tra il 2000 e il 2010 (-13,8 per cento). Particolarmente intensa la riduzione tra le donne più giovani, fino a 34 anni (342mila casalinghe in meno, -29,4 per cento) e tra le 35-44enni (299mila in meno, -18,8 per cento), mentre tra le donne di 45-54 anni le massaie sono diminuite dell’8,8 per cento (-146mila) e del 2,8 per cento (-47mila) tra le 55-64enni.
Leggi tutto: http://www.rassegna.it/articoli/2012/03/07/84513/tra-casa-e-lavoro-la-doppia-vita-delle-donne-italiane

 

 Ue, donne più numerose e longeve. Penalizzate sul lavoro

(Redattore Sociale) I dati Eurostat: Le donne europee sono più numerose e più longeve degli uomini. Ma questo sembra l’unico vantaggio. Per il resto sono maggiormente esposte al rischio di povertà e a quello di esclusione sociale e sono penalizzate sul mercato del lavoro. L’istruzione riduce le disparità tra i sessi, ma non le elimina del tutto. E’ la fotografia scattata da Eurostat, l’Ufficio statistico dell’Unione europea, in occasione della Giornata internazionale della donna (dati 2010-2011). Più longeve e più numerose. Nei 27 paesi dell’Ue vivono 257 milioni di donne e 245 milioni di uomini, ossia 105 donne ogni 100 uomini. Un po’ più numerose le donne italiane: 106 ogni 100 uomini. Le donne, si sa, vivono mediamente più a lungo degli uomini, e questo diventa evidente nella fascia di età di 65 anni e più, dove vi sono 138 donne ogni 100 uomini. In alcuni paesi le donne anziane sono addirittura il doppio rispetto agli uomini: ad esempio in Lettonia (208 donne ogni 100 uomini), in Estonia (204) e in Lituania (197). Sempre in questa fascia d’età, in Italia vi sono 137 donne ogni 100 uomini.
Più esposte al rischio di povertà. Nell’Unione europea 62 milioni di donne (24,5% di tutte le donne) e 54 milioni di uomini (22,3% di tutti gli uomini) sono a rischio esclusione sociale. E le donne hanno un rischio superiore: le maggiori differenze si registrano in Italia (26,3% per le donne contro il 22,6% per gli uomini), Austria (18,4% e 14,7%) e Slovenia (20,1% e 16,5%). Una situazione di quasi parità si ha invece in Estonia, Lettonia, Lituania e Ungheria (con differenze di meno di 1 punto percentuale tra uomini e donne).
L’istruzione riduce le disparità. Il tasso d’occupazione medio nell’Ue è 64% per le donne e 78% per gli uomini, una differenza di ben 14 punti percentuali. La disparità tra i sessi si riduce quando aumenta il livello di istruzione. Tra coloro che hanno un livello d’istruzione corrispondente alla scuola media inferiore, il tasso di occupazione è del 43% tra le donne e 65% negli uomini. Tra la popolazione con un diploma di scuola media superiore il tasso di occupazione è del 67% per le donne e del 79% per gli uomini, ossia una differenza di 12 pp. Per quelli con un livello di istruzione universitaria, lo scarto del 6%. In Italia lo scarto tra uomini e donne è del 34% per chi ha un diploma di media inferiore, 18% per chi possiede un titolo scuola media superiore e 10% all’università.
Vestiti per le donne, elettronica per gli uomini. L’acquisto di beni e servizi su internet è un fenomeno in crescita ovunque e l’osservazione dei comportamenti di acquisto su internet mostra interessanti differenze tra uomini e donne. Le donne sono generalmente più propense degli uomini a ricorrere al commercio on line per comprare vestiti (58% delle donne che hanno acquistato on line 45% degli uomini) e cibo (17% delle donne che hanno acquistato on-line e il 13% degli uomini). Gli uomini sembrano invece più propensi all’acquisto di apparecchiature elettroniche (17% delle donne che hanno acquistato on-line e 32% degli uomini). Non sembra invece vi siano differenze tra uomini e donne per la prenotazione di viaggi e vacanze su Internet (52% ciascuno).

 

Lavoro, le malattie che colpiscono le donne

(Rassegna.it) Dalla lombalgia alla depressione, sono molteplici le patologie di cui soffrono le lavoratrici. Le evidenzia una ricerca di Cgil, Cisl e Uil Piemonte (“Donna P.E.R.LA.) Movimenti ripetuti, posture incongrue, ritmi di lavoro intensi. Ma anche, e soprattutto, scarsa autorità decisionale, basse possibilità di utilizzo delle proprie abilità tecniche, riconoscimento del proprio operare del tutto insufficiente. Di questo soffrono le donne che lavorano, in un arco di patologie che va dalla lombalgia alla depressione. Carichi di lavoro cui aggiungono – perché sono loro a compierle in maggioranza ancora oggi – le “mansioni” che svolgono a casa, come l’assistenza a genitori e suoceri o le faccende domestiche. A rivelare questa condizione – non nuova in verità, ma stavolta indagata in modo davvero particolareggiato e approfondito – è la ricerca “Donna P.E.R.LA” (Prevenzione e rischi sul lavoro), realizzata da Cgil, Cisl e Uil del Piemonte, con la collaborazione della Regione, della Consigliera di Parità regionale, dell’Epidemiologia Piemonte e dell’Inail. Uno studio a tutto campo, centrato sulle differenze di genere e sull’universo femminile, utile a individuare (per sindacati e governi locali) piattaforme e strategie possibili per la riduzione dei disagi fisici e psichici.
La ricerca e il campione: “Donna P.E.R.LA” nasce dall’esigenza di indagare la condizione di salute e sicurezza delle donne lavoratrici in alcune realtà del Piemonte, con particolare attenzione ai settori a elevata occupazione femminile (trasformazione e conservazione alimenti, imprese di pulizia, assistenza ad anziani e infanzia, tessile, commercio e grande distribuzione, metalmeccanica), in rapporto alla situazione dei lavoratori maschi. Un lavoro, condotto da giugno a settembre del 2010, realizzato su 25 aziende (con gruppi importanti come Caffarel, Ferrero, Valentino, Colussi, Auchan, Zegna, Carrefour), mediante la somministrazione di 1.874 questionari, distribuiti nel corso di assemblee sindacali. Progettato in cinque sezioni distinte, il questionario è stato articolato in 186 domande, finalizzate a conoscere aspetti come l’ambiente e l’organizzazione del lavoro, i problemi di salute, le caratteristiche socio-demografiche e gli stili di vita.
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L’Osservatorio sull’imprenditoria femminile -Anno 2011

(Met) Impresa-donna: nel 2011 quasi 7mila in più (0,5%). Dardanello: “Per crescere servono politiche di welfare e strumenti finanziari”. Lazio e Lombardia regioni leader, ma è tutto il Centro-Italia ad essere più ‘rosa’
A dispetto della crisi, anche nel 2011 il binomio donna-impresa fa un piccolo passo avanti, allargando la platea delle imprese a guida femminile. Alla fine di dicembre dello scorso anno, infatti, l’Osservatorio dell’imprenditoria femminile di Unioncamere segnala che sono quasi 7mila le imprese ‘rosa’ in più rispetto al 2010, con un incremento dello 0,5%. A dare maggior significato a questo dato c’è il fatto che il saldo delle imprese femminili compensa più che completamente la performance poco brillante delle imprese al maschile che, nel 2011, hanno fatto registrare un bilancio in rosso per circa 6mila unità . Grazie al bilancio positivo, lo stock delle imprese femminili esistenti alla fine del 2011 poteva contare su 1.433.863 imprese, pari al 23,5% del totale delle imprese italiane.
“Questi dati – ha detto il Presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello – tratteggiano un universo femminile che sta lottando con tutte le sue forze contro la crisi e che dimostra di saper resistere con orgoglio. Le donne rappresentano un patrimonio di competenze spesso più elevate rispetto a quelle maschili e che va assolutamente promosso e incoraggiato a misurarsi sul mercato attraverso l’impresa. Purtroppo – ha proseguito il Presidente di Unioncamere – sono ancora molti gli ostacoli che limitano le donne nell’esprimere appieno la propria creatività e professionalità nel mondo del lavoro, anche se il loro contributo si fa sentire da sempre nelle tante imprese familiari che caratterizzano il nostro tessuto produttivo. Credo che nelle iniziative che si stanno discutendo per sostenere la crescita, una grande attenzione vada posta a tutti quegli strumenti, innanzitutto di welfare ma anche di tipo finanziario, che possono facilitare l’impegno delle donne nelle attività economiche. Il sistema camerale ha investito in questa direzione e continuerà a farlo, sia monitorando da vicino il fenomeno, sia sostenendo il lavoro dei Comitati presenti e attivi sul territorio all’interno delle Camere di commercio”.
Lazio (+1,3%) e Lombardia (+0,9%) le regioni che nel 2011 hanno fatto registrare gli incrementi percentuali più consistenti, ma è quasi tutta l’Italia Centro-settentrionale (Emilia-Romagna, Toscana, Umbria e Marche) a mostrare una più spiccata vivacità delle imprese femminili. Quanto a “femminilizzazione” del tessuto imprenditoriale, poi, le regioni leader si confermano quelle della fascia Centro-meridionale. Sempre nell’ordine: Molise (dove le imprese rosa superano il 30% del totale), Basilicata (27,8%), Abruzzo (27,7%) e Campania (26,8%). Tra le province, un sestetto (composto, nell’ordine, da Messina, Ragusa, Monza-Brianza, Fermo, Prato e Catania) mette a segno una crescita superiore al 2%. Turismo e servizi alla persona i settori che lo scorso anno, più degli altri, hanno contribuito all’espansione dell’universo imprenditoriale femminile: rispettivamente con 2.901 e 2.011 imprese in più. Ad attrarre l’interesse delle nuove imprenditrici sono stati anche settori apparentemente meno femminili come le costruzioni (+1.348 nuove attività) e le attività immobiliari (+1.324). In riduzione, invece, la presenza femminile nei comparti delle attività manifatturiere (-852 unità) e del commercio (-746), mentre continua lo storico calo del settore agricolo, principalmente dovuto alla chiusura di iniziative individuali (coltivatori diretti), il più delle volte legate a fattori generazionali.
Dal punto di vista dell’organizzazione dell’impresa, l’imprenditoria femminile continua la rincorsa ai cugini maschi verso l’adozione di forme giuridiche meglio strutturate. La crescita del 2011, infatti, è dovuta totalmente alle società di capitale (+7.756 unità) che, pur essendo il 14,8% del totale (tra gli uomini la quota è del 25,1) crescono ad un ritmo del 3,8% ovvero una volta e mezzo quello delle società di capitale maschili (+2,3). In aumento anche le forme cooperative ei consorzi (497 unità in più, pari all’1,4%), stabile l’universo delle ditte individuali, in calo sensibile le società di persone (quasi 2mila unità in meno, lo 0,6%).

 

8 marzo: Amnesty International lo dedica alle donne del Medio Oriente

(Asca)  Amnesty International dedica la Giornata internazionale delle donne dell’Otto marzo al coraggio delle donne protagoniste delle rivolte del Medio Oriente e dell’Africa del Nord. Senza dimenticare che nei paesi dell’Africa del Nord i cambiamenti politici devono ancora tradursi in reali passi avanti per i diritti delle donne, Amnesty International pone al centro dell’azione dell’Otto marzo di quest’anno quattro paesi del Medio Oriente in cui le donne continuano a lottare per chiedere riforme e rispetto dei diritti umani: Arabia Saudita, Iran, Siria e Yemen.
”In tutta l’area del Medio Oriente e dell’Africa del Nord, le donne sono una forza ispiratrice del cambiamento e sfidano regimi repressivi per difendere i diritti umani fondamentali e promuovere le riforme e l’uguaglianza’, ha dichiarato Widney Brown, di Amnesty International. Nella Giornata internazionale delle donne, Amnesty International esprime solidarieta’ a queste donne coraggiose e sostiene la loro lotta per i diritti umani e la liberta’. Vogliamo che sappiano che il mondo intero e’ con loro in questo momento storico”. In Iran, le donne hanno avuto un ruolo determinante nelle proteste di massa promosse all’epoca delle elezioni del giugno 2009. Continuano a chiedere ampie riforme nel campo dei diritti umani e maggiore liberta’ per le donne e, per questo, pagano un prezzo elevato. In Arabia Saudita, a causa del sistema di ”guardiania’ maschile, le donne sono discriminate e non possono gestire la loro vita in una serie di ambiti sociali, personali ed economici. Una delle piu’ insolite e invadenti restrizioni e’ probabilmente il divieto di guida imposto alle donne saudite, anche qualora siano in possesso di una patente internazionale e possano guidare liberamente in ogni altra parte del mondo. Per Amnesty International questa proibizione e’ esemplificativa dei molteplici ambiti in cui i diritti delle donne saudite sono profondamente limitati. Amnesty International sostiene il loro diritto di ”guidare verso la libertà”.
Da un anno, il presidente della Siria Bashar al-Assad sovraintende alla brutale repressione del dissenso che ha causato oltre 6000 morti, tra cui oltre 200 donne e ragazze.
Migliaia di persone sono state arrestate e molte di esse sono state trattenute per lunghi periodi di tempo in isolamento in carceri segrete nelle quali la tortura e i maltrattamenti risultano diffusi.
Alcune difensore dei diritti umani, che sono state alla guida del movimento pacifico per le riforme, sono state costrette a entrare in clandestinita’ o a lasciare il paese.
Di fonte a tutto questo Asma al-Assad, moglie del presidente siriano, ha fatto ben poco per denunciare le brutalita’ delle forze di sicurezza e si e’ pubblicamente espressa in favore del marito: un atteggiamento in contrasto con la sensibilita’ mostrata in passato dalla first lady siriana verso le cause umanitarie e sociali, compresi i diritti delle donne.
In occasione dell’Otto marzo, Amnesty International intende mobilitare l’opinione pubblica mondiale in una campagna d’invio di lettere per sollecitare Asma al-Assad a esercitare la sua influenza per porre fine alle violenze in corso e alle violazioni dei diritti umani commesse contro le attiviste per i diritti umani siriane, che agiscono per proteggere il futuro di tutti i siriani e tutte le siriane.
E ancora: in Yemen, le donne hanno contribuito a dare vita a una vibrante societa’ civile, riconosciuta a livello mondiale nel 2011, quando la giornalista e attivista per i diritti umani Tawakkol Karman e’ stata una delle tre donne cui e’ stato conferito il premio Nobel per la pace.
”Amnesty International – ha concluso Widney Brown – continua a stare dalla parte delle donne che in Medio Oriente e in Africa del Nord lottano per i diritti umani e in particolare per il diritto a partecipare agli sviluppi politici su base di uguaglianza, mentre si apre la via del cambiamento in tutta la regione”.

 

Mimose “speciali” per le donne del mondo

(Redattore Sociale) Dall’Afganistan al Kenya, dalla Tanzania alla Siria: i progetti delle associazioni per aiutare le donne a conquistare dignità e libertà e costruire un nuovo futuro. La festa della donna si trasforma in un sostegno concretoTrasformare la festa della donna in un sostegnoconcreto a favore delle donne del mondo Con l’Aibi-Amici dei bambini è  possibile aiutare le donne del Kenya acostruire il proprio futuro. Con 15 euro un kit igienico – sanitario pergiovani ragazze degli istituti, con 25 euro una sessione di due ore con unapsicologa esperta, con 50 il rimborso trasporti per un mese di apprendistato, con 75 un tutor per una giornata di formazione e con 100 una borsa di studioper corsi professionali per giovani ragazze che hanno lasciato da poco tempogli istituti. Ai.Bi. invierà una e-mail con le mimose virtuali scelte daldonatore a chi si desidera, amiche, madri, sorelle, colleghe. (Per info: www.aibi.it/8marzo).

Amnesty International dedica la Giornata internazionaledelle donne dell’8 marzo al coraggio delle donne protagoniste delle rivolte del Medio Oriente e dell’Africa del Nord. “In tutta l’area del Medio Oriente edell’Africa del Nord, le donne sono una forza ispiratrice del cambiamento esfidano regimi repressivi per difendere i diritti umani fondamentali epromuovere le riforme e l’uguaglianza’ – ha dichiarato Widney Brown, di AmnestyInternational. ‘Nella Giornata internazionale delle donne, AmnestyInternational esprime solidarieta’ a queste donne coraggiose e sostiene la lorolotta per i diritti umani e la liberta’. Vogliamo che sappiano che il mondointero e’ con loro in questo momento storico’. (Per info: www.amnesty.it/diritto_di_guidare_donne_arabia_saudita,www.amnesty.it/detenzione_avvocatessa_Nasrin_Sotoudeh_Iran -www.amnesty.it/diritti_donne_Siria)

Il Cesvi vicinoalle donne afgane che “vivono una situazione di marginalità sociale, economicae culturale”. “Il livello di
deprivazione dipende in larga misuradall’appartenenza etnica, dalla professione religiosa e dall’area geografica incui vivono. – racconta Alessandra Tomirotti, responsabile di Cesvi inAfghanistan – Le città, come sempre, rappresentano un’oasi privilegiata dove leopportunità e i servizi favoriscono le condizioni per una maggioreemancipazione femminile. Ma se ci si sposta nei villaggi, la situazione cambiadrasticamente: attraversandoli non si incrocia alcuna donna per strada”. Cesviè presente in Afghanistan dal 2001 e dal 2008 è impegnato a favoredell’inserimento sociale e professionale dei soggetti più vulnerabili: il 60% dei beneficiari è composto da donne chehanno seguito un corso di formazione professionale ed hanno costituito duecooperative sociali dove lavorano regolarmente come sarte, tessitrici ditappeti, fotografe e produttrici di video per eventi ed estetiste/parrucchiere. Donare, invece della solita mimosa, un biglietto d’auguriper sostenere il progetto “Inuka – Alza la testa” aiutare le madri di bambini con disabilità della Tanzania. Con soli 25 euro saràpossibile regalare un maialino o una capretta alle donne africane, che conl’allevamento potranno aumentare il proprio reddito familiare, dedicando cosìmeno tempo al duro lavoro nei campi. L’iniziativa è di Comunità Solidalinel mondo Onlus. (Per info: http://www.solidalinelmondo.org)
Un aiuto alle donne africane viene anche dalla Rete deicomuni solidali (Recosol), che lanciano una raccolta fondi per comprare un’automobile diservizio per le emergenze sanitarie nella città di Oualia in Mali.. “L’autocomunale – spiegano i promotori – è l’unico sistema per portare una donnabisognosa di un taglio cesareo o colpita da complicazioni da partonell’ospedale più vicino (a 80 o 150 Km dal capoluogo) per far fronte a una delle pocheoperazioni gratuite che il governo maliano consente”. Servono 3000 euro per acquistare un fuoristrada diseconda mano. (Per info: www.comunisolidali.org).

 

 


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