Nei periodi di crisi economica si assiste inevitabilmente ad un aumento del tasso di suicidio, basti pensare a quanto successo nel 1929 negli Stati Uniti, quando le autorità si videro costrette a bloccare l’accesso al tetto degli edifici per evitare che le persone si uccidessero gettandosi nel vuoto. In Italia stiamo vivendo una situazione altrettanto drammatica, inutile negarlo: dall’inizio del 2012 si sono tolti la vita più di 24 imprenditori, tanto che a Padova è nata un’associazione per i familiari degli imprenditori suicidi. Non solo gli imprenditori sono a rischio ma anche i disoccupati, di cui si parla molto meno ma che sono invece ben superiori per numero, per non parlare dei pensionati, la categoria che ogni governo, di destra o di sinistra (o cosiddetto “tecnico”), saccheggia impunemente. La crisi è palpabile, si esce di meno, non si ha più voglia di divertirsi e difficilmente camminando per le strade si incontra gente sorridente: gli italiani sono un popolo di depressi! Il suicidio è il fenomeno più evidente a cui porta la depressione, ma alcolismo, tossicodipendenza o perfino tabagismo non sono altro che modi impropri di lenire questo malessere. La correlazione fra crisi, depressione e suicidio è innegabile ma affermare che questa correlazione sia diretta mi sembra sbagliato altrimenti i casi di suicidio sarebbero nell’ordine di milioni perché tanti sono gli italiani che non riescono ad arrivare a fine mese. Nessuno è felice di perdere il lavoro o di non trovarlo affatto, nessuno è felice di vivere con i genitori ultraottantenni senza alcuna possibilità di costruirsi una famiglia, nessun laureato è contento di lavorare in un call center o di pulire le feci di un vecchietto eppure non per questo si è costretti a cadere in una depressione tanto cupa da vedere la fine di tutto come l’unica soluzione possibile. Perché avviene questo? I periodi di crisi semplicemente rompono il precario equilibrio di personalità nevrotiche, persone che in qualche modo sono riuscite ad adattarsi alla vita con un buon funzionamento pur avendo una sottostante struttura di personalità tendente alla depressione. Un classico esempio può essere quello della persona che pur essendo depressa ha sempre avuto un lavoro e grazie ad esso è riuscita a condurre una vita normale: 1) perché avendo impegni da svolgere quotidianamente non ha avuto modo di indulgere ai propri pensieri depressivi; 2) perché tale lavoro gli consentiva di mantenere un discreto livello di autostima e di fiducia nella vita. Chiaramente se questa persona perde il proprio impiego la situazione degenera perché senza più il lavoro a distoglierla dai pensieri depressivi, si sentirà distrutta, impotente, senza speranza nel futuro e senza più voglia di vivere. Non esiste teoria migliore per spiegare la depressione di quella di Aaron Beck, basata sulla famosa triade cognitiva: essa può fornire una spiegazione sul modo in cui una crisi socio economica contribuisce ad aumentare il tasso di depressione e di conseguenza quello dei suicidi. Naturalmente Beck è un cognitivista, così come Ellis, di cui tanto ho parlato nella mia rubrica, e il lettore attento potrà senz’altro notare come le loro teorie si sposino perfettamente. Secondo Beck il depresso interpreta in modo distorto gli eventi della vita, tendendo sempre al pessimismo e all’autocolpevolizzazione perché guidato da tre schemi cognitivi (la triade appunto) che sono costituiti da aspettative negative nei confronti dell’ambiente, un’opinione negativa di sé e aspettative negative nei confronti del futuro. L’opinione negativa di sé è espressa da pensieri come “Sono un perdente, un fallito!”, “Non valgo niente!”. Il depresso ha una bassissima opinione di se stesso perciò si ritiene indegno di essere amato e si considera solo un peso per chi gli sta vicino. La visione negativa riguarda anche il mondo che è vissuto come un luogo ostile e ingiusto che non fornisce mai le gratificazioni che dovrebbe e dove tutti sembrano approfittarsi indebitamente del povero soggetto depresso. A completare la triade ci sono le aspettative negative per il futuro: “Non cambierà mai nulla!”, “Andrà sempre peggio”, “Vivrò una vita da perdente!”. Appare evidente come tutti questi pensieri siano irrazionali, per dirla in termini razionali emotivi, ma per la persona depressa sono veri e incontestabili. La crisi economica costituisce una situazione oggettivamente negativa le cui conseguenze più eclatanti per la popolazione sono la perdita del lavoro o una situazione di sfruttamento lavorativo che costringe ad arrangiarsi con una miseria. Un soggetto il cui pensiero sia guidato da questa triade cognitiva non potrà che reagire in modo devastante a questa situazione. La perdita del lavoro sarà vissuta come una conferma della propria inferiorità: “Non ho neanche un lavoro allora non valgo niente”, “Non posso aiutare la mia famiglia quindi la mia vita non ha senso” e sarà probabilmente seguita da sentimenti di autocondanna: “Non avrei mai dovuto perdere questo lavoro, ho fallito, è tutta colpa mia!”. Anche la visione del mondo sarà condizionata dallo spiacevole evento: “Il mondo è una posto orribile, non me ne va mai una bene!”, “Si sono approfittati di me, mi hanno sfruttato e questo è il riconoscimento!”, “Come hanno potuto mandarmi via così?”, “Come è possibile che esistano ingiustizie del genere?”. Inevitabile che dopo aver perso il lavoro o guadagnando solo poche centinaia di euro al mese anche il futuro appaia buio: “Non ce la farò mai a trovare un lavoro, è impossibile!”, “Non guadagnerò mai abbastanza per arrivare a fine mese”, “Questa crisi durerà ancora per anni, non potrò mai avere una famiglia!”. Tutti questi pensieri negativi portano il depresso a sentirsi nella condizione definita “helplessness”, un termine inglese che rispecchia perfettamente questo dramma e che sintetizza la sensazione di impotenza, di inutilità di impegnarsi o di sforzarsi a cambiare la propria condizione ben espressa dalla classica affermazione “tanto è tutto inutile!”. Non a caso chi perde il lavoro e cade in depressione, senza arrivare a gesti estremi come quello del suicidio, diventa triste e apatico e spesso gli uomini hanno problemi sessuali proprio perché questa impotenza pervade ogni aspetto della vita. Il pensiero automatico, irrazionale che sottosta a questa condizione è quello: “Il maschio dovrebbe lavorare e aiutare la propria famiglia quindi visto che non ho un lavoro e non valgo nulla non sono un vero uomo e tantomeno posso esserlo a letto!”. Non è possibile scrivere un articolo esauriente sull’argomento ne’ tantomeno sintetizzarlo senza correre il rischio di cadere nella banalità ma è chiaro che gli eventi negativi generati da una crisi economica interpretati mediante la triade cognitiva distorta del depresso confermano le aspettative negative generando un circolo vizioso che potrebbe interrompersi addirittura con il suicidio. “Ho perso il lavoro e con questa crisi non ne troverò mai un altro, o quantomeno uno decente. Non servo a niente, non posso aiutare nessuno, sono solo un peso per tutti i miei cari. Ogni mio sforzo è inutile, non ha senso impegnarsi nella vita. Non ci sono speranze, tanto vale farla finita!”. Si tratta sempre di idee irrazionali, per dirla alla Ellis, perché non è logico pensare che se si perde il lavoro non se ne troverà mai un altro, non è logico pensare che è inaccettabile fare un lavoro “umile” se una volta si svolgeva un incarico di prestigio e non è razionale ritenere che la vita non valga la pena di essere vissuta se non si possono avere le gratificazioni economiche, sociali o affettive che desideriamo. Non ha senso ritirarsi perché è tutto inutile invece di impegnarsi al massimo per ottenere quello che la vita potrebbe ancora darci! In tutto questo i mass media non aiutano. Lungi da me l’idea di colpevolizzare i mezzi di informazione per non fare altro che il proprio dovere: sarebbe delittuoso, come voleva fare un certo psiconano, negare che il paese, e forse tutta l’Europa, stia attraversando una crisi gravissima di cui non si vede neanche una fine lontana. È innegabile però che il continuo bombardamento di notizie inerenti licenziamenti di massa, chiusura di fabbriche, suicidi di imprenditori e disoccupati, tagli alla scuola e alla sanità non possono che confermare le convinzioni pessimistiche del soggetto depresso. Per concludere, la crisi non causa la depressione e di conseguenza il suicidio, essa però può rompere il fragile equilibrio psichico di una persona nevrotica con tratti depressivi, trasformando tali tratti in una depressione conclamata, il modo in cui ciò avviene è ben spiegato dalla teoria della triade cognitiva di Beck. Sono lodevoli tutte le iniziative di sostegno psicologico alle persone disoccupate o comunque indigenti perché si tratta di categorie che hanno bisogno di aiuto tanto quanto gli alcolisti o i tossicodipendenti (tra l’altro il confine fra queste categorie è molto labile), la depressione infatti è un male che ha un costo pesante sia per l’individuo che per la società intera e in questo periodo sta assumendo le proporzioni di una vera e propria epidemia. Purtroppo lo stato italiano fa ben poco per quanto riguarda l’assistenza in generale, figuriamoci per quella psicologica, pertanto è nostro compito stare vicino a chi è stato colpito dalla crisi, che sia un familiare, un amico o anche un conoscente, facendogli capire che non è una persona inutile, che il mondo non è perfetto ma neanche insopportabile e che trovare qualcosa di gratificante nel futuro è sempre possibile.
Aldo Gabardo
*INVIA UN COMMENTO VOCALE (Max 120 secondi). ---- Per registrare il commento vocale cliccare su Record, poi su Stop una volta terminata la registrazione. Infine cliccare su Save per inviare il contributo audio. (Inviando il contributo audio si autorizza alla sua pubblicazione.)
0
Lascia un commento