È del 9 maggio la dichiarazione di Stefano Marchetti, responsabile dell’ultima indagine dell’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT), che il numero di suicidi in Italia per motivi economici non sarebbe aumentato rispetto agli anni scorsi, essi sono stati infatti 38 dall’inizio dell’anno a fronte dei 187 su 3048 totali del 2010. Ci si continua a suicidare molto di più a causa di gravi malattie, solitamente di natura psichica e per motivi affettivi (il classico cuore infranto).
Il dottor Marchetti insomma, teme che si stia dando troppa importanza ad un fenomeno che per ora non ha fondamenti scientifici.
Dopo aver letto tali affermazioni ho voluto dare un’occhiata a “PubMed” (il più importante motore di ricerca di pubblicazioni scientifiche a carattere medico del mondo) e sembrerebbe che gli studiosi di scienze umane di tutto il mondo la pensino diversamente: vi sono ricerche condotte nei più disparati paesi del globo, dalla Cina alla Slovenia, dall’Australia alla Grecia, che dimostrano che le cose non stanno esattamente così.
Citare tutti questi articoli sarebbe impossibile per me e noioso per il lettore perciò menzionerò solo alcuni di quelli che più mi hanno colpito.
Stuckler et al. nell’articolo “The health implications of financial crisis: A review of the evidence” (un titolo eloquente: “Le implicazioni della crisi finanziaria sulla salute: una rassegna delle prove”) affermano che durante la grande crisi americana degli anni 30, dopo il crollo del comunismo in Unione Sovietica nei primi anni ’90 e durante la crisi finanziaria nel sud est asiatico della fine degli stessi anni ’90, i suicidi sono drasticamente aumentati. Secondo gli autori non sarebbe tanto la perdita di risorse economiche a sconvolgere la popolazione, quanto il cambiamento repentino della struttura sociale. Se infatti nel caso degli Stati Uniti e del sud est asiatico si trattò del crollo di un impero economico, in Unione Sovietica fu lo sbriciolamento dello stato comunista a disorientare la gente: il lavoro non era più qualcosa di sicuro e immutabile per tutta la vita, diventava necessario cercarlo e oltretutto era possibile venire licenziati se non ci si fosse dimostrati produttivi. Il mondo diventava imprevedibile, ostile e il futuro incerto e buio: facile sentirsi inadeguati e impreparati ad affrontare questo cambiamento… La triade cognitiva di Beck (Cognitivamente del 27/04/2012) si ripresenta così come la depressione: aspettative negative per il futuro, opinione negativa di sé e aspettative negative sul mondo.
Dore e Singh, due economisti canadesi nel loro “The global financial crisis and the Great Recession of 2007-2009” (“La crisi finanziaria globale e la grande recessione del 2007-2009”) sostengono qualcosa di molto simile: premettendo che questa è la più grave crisi finanziaria mondiale dopo quella del 1930 essi affermano che l’elemento drammatico della situazione attuale è il crollo dell’ipotesi del mercato efficiente (efficient market hypothesis) sul quale si basava la razionalità e la stabilità di tutti i mercati, compreso quello finanziario.
Dobbiamo dunque accantonare il principio che la società alla quale siamo abituati e in cui siamo cresciuti si basi su presupposti solidi: l’economia, così come è strutturata non funziona, o quantomeno è soggetta a imprevedibili crisi.
Una considerazione del genere, fatta da un soggetto incline alla depressione, non può che avere conseguenze estremamente negative in quanto confermano l’ostilità e imprevedibilità del mondo così come l’aspettativa di un futuro pieno di difficoltà.
Avčin et al., dell’Ospedale Psichiatrico di Lubiana, (“The present global financial and economic crisis poses an additional risk factor for mental health problems on the employees” ossia “L’attuale crisi globale finanziaria ed economica costituisce un ulteriore fattore di rischio per i problemi mentali degli impiegati”) illustrano la ricerca condotta su un campione di 1592 impiegati che dimostra che nel 46,6% dei soggetti che sono stati in qualche modo investiti dalla crisi sono significativamente aumentati i sintomi di depressione.
A questo punto mi ritorna in mente l’affermazione del Marchetti che i suicidi dovuti alla crisi non costituiscono un’emergenza infatti la prima causa di suicidio è la malattia, in 4 casi su 5 di natura psichica: stiamo parlando di 1412 persone che si sono tolte la vita nel 2010, di cui 1129 erano affette da una patologia mentale… Ma la crisi non è stata forse riconosciuta come un fattore aggravante dei problemi psichici? Come si fa ad escludere l’ipotesi che un soggetto gravemente depresso decida di suicidarsi dopo aver perso la casa o il lavoro? “Tanto era matto quindi la crisi economica non ha nulla a che fare con tutto ciò!”.
Per fortuna non tutti la pensano così, secondo il greco Orestis Giotakos dell’Army Hospital di Atene (“Financial crisis and mental health“, “Crisi finanziaria e salute mentale”) la maggior parte degli studi dimostra una correlazione fra disoccupazione e altri indici economici e tasso di mortalità, depressione e tendenze suicide. Nei periodi di crisi, oltre a crescere la disoccupazione, diminuisce il potere di acquisto del denaro, la popolazione è sfiduciata e timorosa e per risparmiare taglia anche le spese mediche. I poveri e i soggetti affetti da patologie mentali sono le categorie maggiormente a rischio ed è noto il circolo vizioso per cui la povertà facilita l’insorgere di problemi psichiatrici così come chi ne soffre cade facilmente in uno stato di indigenza. Inoltre la bassa tolleranza alla frustrazione sarebbe un indice di vulnerabilità alla depressione dovuta alla crisi (come già sostenuto da Albert Ellis).
Un’altra ricerca condotta in Grecia da Economou et al. (“Depression telephone helpline: help seeking during the financial crisis“, in italiano “Telefono amico per la depressione: ricerca di aiuto durante la crisi finanziaria”) ha preso in considerazione le telefonate ricevute da un numero verde di sostegno psicologico contro la depressione del Greek University Mental Health Research Institute nell’anno 2010: non solo è aumentato il numero di telefonate facenti diretto riferimento alla crisi ma soprattutto i sintomi depressivi di chi lamentava gli effetti della crisi erano molto più gravi di quelli di chi non faceva accenno ad essa. Gli autori hanno inoltre rilevato un drastico aumento nell’abuso di alcol, droghe e farmaci negli utenti di questo servizio telefonico. Economou conclude dicendo che l’impatto della crisi finanziaria sulla salute mentale della popolazione greca è stato considerevole.
Naturalmente non tutte le persone che devono fronteggiare gli effetti della crisi finanziaria sono destinate a soffrire di ansia o depressione. Esistono delle variabili individuali e sociali che possono mitigare l’inevitabile tristezza provocata dalla perdita del lavoro o della casa, impedendo che si consolidi quello schema cognitivo per cui ci sentiamo inutili e senza speranza in un mondo crudele.
Un concetto che si è fatto largo negli ultimi anni è quello della “resilienza” (dal latino rěsĭlĭo: rimbalzare, retrocedere), ossia la capacità di fronteggiare una situazione traumatica riorganizzando la propria vita in base alle chance che essa ci lascia, anche se ridotte rispetto alla situazione precedente a tale evento, raggiungendo a volte una condizione addirittura migliore di quella di partenza. Questa capacità di affrontare le avversità è determinata da vari fattori che sono principalmente l’autostima, la determinazione, la fiducia nelle proprie capacità, il buonumore, la flessibilità cognitiva (la capacità di vedere i problemi sotto differenti punti di vista), dare il giusto valore al giudizio altrui ma anche fare esercizio fisico ed avere uno stile di vita salutista (alimentazione sana, niente droghe o alcol).
Il concetto di resilienza può essere esteso ad un’intera comunità, riferendosi in questo caso al modo in cui essa riesce ad attutire l’effetto degli eventi catastrofici (e una crisi finanziaria di queste proporzioni può essere così considerata).
L’Italia può essere vista come una grande comunità resiliente? Esistono i presupposti sociali perché possa essere considerata tale?
Non me la sento di rispondere perciò mi limiterò a riportare quanto hanno affermato nei loro articoli alcuni dei succitati autori.
Stucker ad esempio afferma che sono tre i requisiti fondamentali per preservare la salute mentale dei cittadini durante un periodo di crisi: limitare l’esposizione ai fattori di rischio, la coesione sociale (assistenza informale) e la protezione sociale (assistenza pubblica). Lo stesso autore cita il caso dell’Islanda dove, nonostante una crisi economica devastante, più grave e in anticipo rispetto al resto dell’Europa, non è stato ravvisato un aumento dei suicidi o delle patologie mentali.
Stucker conclude dicendo che non si aspetta gravi conseguenze per l’Irlanda del Nord (il paese dove viene pubblicato The Ulster Medical Journal che riporta l’articolo) perché vi è una fitta rete di supporto sociale costituita da numerose organizzazioni religiose e di volontariato oltre ad un’assistenza pubblica all’avanguardia. Aggiungerei che l’Irlanda del Nord è pervasa da un forte senso religioso che è considerato un importante fattore di resilienza (Min et al. Quality Life Research, 7 aprile 2012).
Secondo Giotakos è compito delle autorità rispondere tempestivamente alla crisi con opportune misure di politica sociale, mirate soprattutto a proteggere le categorie più deboli, ossia i disoccupati e i malati psichiatrici, sarebbe quindi opportuno istruire i medici di base o chi risponde alle richieste di aiuto a riconoscere il problema per indirizzare questi soggetti verso servizi psichiatrici debitamente potenziati.
Per Avčin et al. i clinici devono seriamente prendere in considerazione il fattore di rischio per la salute mentale costituito dalla crisi finanziaria e ricordare sempre che sintomi di depressione e ansia possono essere mascherati da coloro che si rivolgono spesso ai servizi sanitari lamentando dolori fisici o da chi fa largo uso di droghe o alcol.
Economou sottolinea l’importanza dell’aiuto telefonico che se effettuato da personale adeguatamente preparato può aiutare le persone in difficoltà a sfogarsi abbassando il livello di stress oltre ad indirizzarle ai servizi psichiatrici.
Alla luce di queste conclusioni mi viene da pensare che la coesione sociale non sembra una caratteristica tipica del popolo italiano (se si eccettuano alcune piccole comunità), l’assistenza pubblica la conosciamo bene, i fattori di rischio non vengono limitati in alcun modo (vedi sussidio di disoccupazione) e l’assistenza psicologica per via telefonica è affidata alle lodevoli iniziative di singole associazioni. Come al solito è la famiglia l’ultimo baluardo contro la depressione (per chi ha la fortuna di averne una), essa è costretta a fornire tutto il sostegno e l’aiuto possibile, purtroppo non sempre basta.
Però potrebbe avere ragione Stefano Marchetti, dopotutto non esiste un’emergenza suicidi, c’è in tutti i paesi del mondo tranne che in Italia, sarebbe pertanto un inutile spreco di fondi l’istituzione o il potenziamento di servizi pubblici per il sostegno alle categorie maggiormente colpite dalla crisi…
O no?
Aldo Gabardo
*INVIA UN COMMENTO VOCALE (Max 120 secondi). ---- Per registrare il commento vocale cliccare su Record, poi su Stop una volta terminata la registrazione. Infine cliccare su Save per inviare il contributo audio. (Inviando il contributo audio si autorizza alla sua pubblicazione.)
0
Lascia un commento