I gay iraniani dimenticati da Obama. Alzheimer, il cervello ci dice se il farmaco può avere effetto. Attenzione a ricoverare gli anziani in ospedale: il loro rischio cognitivo raddoppia. Salute: per perdere peso basta dormire a tempo. Mali: Amnesty, situazione catastrofica per i diritti umani. SCENARIO CRISI: Ilo e la Banca Mondiale esaminano le misure adottate contro la recessione economica.
I GAY IRANIANI DIMENTICATI DA OBAMA
(L’Opinione) Se Barack Obama ha veramente a cuore la sorte dei gay di tutto il mondo, oltre che di quelli americani, perché non dice niente all’Iran che ne sta impiccando quattro? Secondo un sito di attivisti per i diritti umani in Iran, Hrana – Human Rights Activists News Agency – quattro omosessuali saranno uccisi a giorni per aver praticato la “sodomia”. La Corte Suprema iraniana ha infatti confermato le condanne a morte emesse nei confronti di quattro omosessuali. Le sentenze di morte erano state emesse alcuni mesi fa dal Tribunale della regione Kohgiluyeh e Buyer Ahmad, nel sud-ovest dell’Iran. Questi i loro nomi: Sahadat Arefi, Javid Akbari, Hushmand Akbari e Vahid Akbari. Sono stati riconosciuti ‘colpevoli’ di semplici pratiche omosessuali.
E chi ama persone dello stesso sesso sotto il regime degli Ayatollah continua a rischiare la vita. A questo punto, anche tra i più “liberal” in America, la domanda se Obama ci faccia o ci sia inizia a porsi. Specie dopo la sparata di “Newsweek” che lo dipinge come il primo presidente gay (inteso come gay friendly) in America. E dopo avergli dedicato la copertina mette all’interno uno spudorato endorsement di Andrew Sullivan nel quale si racconta, a mo’ di indiscrezione, che se Obama fosse stato ancora “senator” quando la legge Albany aveva legalizzato lo sposalizio omosessuale nello stato di New York «avrebbe sicuramente votato a favore». E poi argomenta che, «sebbene l’intervista sui matrimoni gay sappia un po’ di propaganda e possa indurre allo scetticismo sui veri motivi di opportunismo elettorale», tuttavia «su questa cosa dei diritti dei gay non si può non concludere che si tratti dell’inevitabile culmine di tre anni di lavoro». Insomma un vero paladino della comunità arcobaleno. Specie laddove non costa niente esserlo, cioè a New York e a San Francisco.
In politica estera però è tutta un’altra storia. Altrimenti non si capirebbe il silenzio assordante dell’amministrazione di Obama sui diritti dei gay nei paesi asiatici, a cominciare da quelli islamisti come l’Iran. Perché la verità è che il tallone di Achille dell’amministrazione democratica è proprio questa ipocrisia sui diritti umani. Non una parola sulle persecuzioni dei cristiani in Nigeria, poca attenzione alle paure di Gerusalemme a proposito dell’atomica degli ayatollah, poche dichiarazioni sui diritti dei gay in quei Paesi dove rischiano la vita e zero polemiche con la Cina. Come si è visto recentemente con la storia del povero dissidente cieco Chen Guancheng. Adesso, se Obama è veramente gay friendly, perché non lancia un bel monito a Teheran e non porta al Consiglio di Sicurezza Onu il caso di questi poveri omosessuali iraniani che non possono certo contare sulle lobby americane che portano milioni di voti a chi garantirà loro il matrimonio?
A Teheran, a Gaza, in Uganda, in Iraq, in Afghanistan, e in altri paesi dove esiste la pena di morte per sodomia, i “froci” si accontenterebbero semplicemente di potere fare l’amore con il proprio compagno, o con chi preferiscono, senza venire ammazzati da quegli stessi regimi canaglia che Obama, in quattro anni di mandato, ha fatto ben poco per combattere.
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MALI: AMNESTY, SITUAZIONE CATASTROFICA PER I DIRITTI UMANI
(ASCA) Catastrofica situazione dei diritti umani in Mali, paese in cui gia’ la crisi alimentare sta colpendo 15 milioni di abitanti, in particolare nella regione del Sahel. Lo denuncia il rapporto pubblicato oggi da Amnesty International, dal titolo ”Cinque mesi di crisi, tra rivolta armata e colpo di stato militare”, secondo il quale centinaia di migliaia di persone sono state costrette a lasciare il nord del paese, sconvolto dai combattimenti, e decine sono state arrestate arbitrariamente, stuprate o uccise. ”Dopo due decenni di relativa stabilita’ e pace, il Mali sta affrontando la peggiore crisi dal 1960, l’anno dell’indipendenza”, ha dichiarato Gaetan Motoo, ricercatore di Amnesty International sull’Africa occidentale, appena rientrato da una missione di tre settimane nel paese.
”L’intera regione settentrionale e’ caduta nelle mani dei gruppi armati che stanno portando avanti la rivolta. Decine di migliaia di persone hanno lasciato la zona, creando una crisi umanitaria nel sud del Mali e nei paesi confinanti” – ha aggiunto Motoo. Le testimonianze raccolte da Amnesty International parlano anche di donne e ragazze stuprate, spesso in gruppo, da uomini armati, compresi i membri del Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad (Mnla), un gruppo armato tuareg, in particolare nelle zone di Menaka e Gao.
Tutte le parti in conflitto hanno commesso violazioni dei diritti umani. Nella citta’ di Sevare, 630 chilometri a nord di Bamako, i soldati dell’esercito del Mali hanno commesso pestaggi ed esecuzioni extragiudiziali contro persone prive di armi accusate di essere spie dell’Mnla. Altri sospetti sono stati portati in uffici non registrati come centri di detenzione, come la Direzione generale per la sicurezza dello stato.
Soldati maliani catturati dai gruppi armati sono stati a loro volta sottoposti a maltrattamenti e ad esecuzioni sommarie. Due soldati catturati a gennaio prima di essere rilasciati in uno scambio di prigionieri, hanno descritto le torture subite dai loro commilitoni, ad alcuni dei quali e’ stata squarciata la gola.
I delegati di Amnesty International hanno riscontrato la presenza di bambini soldato tra le fila dei gruppi armati tuareg e islamisti che hanno assunto il controllo del nord del Mali.
Amnesty International chiede a tutte le parti in conflitto di rispettare il diritto internazionale umanitario e di prendere tutte le misure necessarie per proteggere i civili e i combattenti fatti prigionieri durante il conflitto e di consentire l’accesso illimitato delle Nazioni Unite e delle altre agenzie umanitarie nella regione settentrionale e nelle zone dove hanno trovato riparo i profughi interni e ai rifugiati.
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ALZHEIMER, IL CERVELLO CI DICE SE IL FARMACO PUÒ AVERE EFFETTO
Il nostro cervello è in grado di rispondere alla terapia farmacologica contro l’Alzheimer? Una risonanza magnetica può dirlo. Lo studio condotto dal Dipartimento di Psicologia dell’Università di Milano-Bicocca, in collaborazione con l’Azienda Ospedaliera Niguarda Cà Granda e il Dipartimento di Psicologia dell’Università di Pavia (professoressa Gabriella Bottini), pubblicato sulla rivista Behavioral Neurology, ha dimostrato che i pazienti che subiscono un progressivo peggioramento della malattia, nonostante il trattamento farmacologico con inibitori dell’acetilcolinesterasi – principio attivo utilizzato in larga misura nella terapia per contrastare l’Alzheimer -, hanno una significativa atrofia dei nuclei profondi del cervello colinergici e dei fasci di sostanza bianca circostanti.
«La ricerca – spiega Eraldo Paulesu, docente di Psicobiologia e responsabile dello studio – rappresenta quella che gli anglosassoni chiamerebbero una “proof of principle” , ovvero la dimostrazione che potrà diventare possibile monitorare efficacemente la risposta alla principale classe di farmaci utilizzati per ritardare il declino cognitivo nella malattia di Alzheimer. Bisogna ricordare che non esiste un singolo test di laboratorio o clinico per fare diagnosi di demenza né tanto meno per predire la risposta ai farmaci che rendono disponibile una maggior quantità di acetilcolina nel cervello. Attraverso una risonanza magnetica strutturale analizzata con tecnica di Voxel-Based Morphometry è possibile individuare le aree del cervello in cui c’è una riduzione significativa di sostanza grigia oppure di sostanza bianca».
Lo studio, finanziato dall’Assessorato alla Sanità della Regione Lombardia e condotto su un panel di 23 pazienti, ha dimostrato che una risonanza magnetica strutturale, eseguita dopo un breve periodo di trattamento farmacologico (9 mesi), permette di differenziare i pazienti che rispondono alla terapia da quelli che non traggono beneficio alcuno. Sebbene preliminari, i risultati di questo studio rappresentano il primo tentativo sistematizzato di creare un protocollo multidisciplinare di valutazione dell’efficacia di un farmaco, protocollo che a lungo andare potrebbe rivelarsi promettente nell’identificare, prima di iniziare il trattamento, i pazienti a cui prescrivere il farmaco. Questi risultati potranno avere un impatto di rilevanza nazionale nel contribuire al miglioramento della pratica clinica nel trattamento delle demenze e nel ridurre i costi per il sistema sanitario nazionale. Si stima infatti che in un paese delle dimensioni dell’Italia vi siano circa 65000 nuovi casi di probabile malattia di Alzheimer ogni anno e che il costo per la cura di ogni singolo paziente sia pari a circa 1500 euro all’anno. In totale si spendono 8 miliardi di euro all’anno per la cura delle demenze, di cui oltre 2 per i farmaci. «Lo studio – conclude Paulesu – getta le basi per indagini su più larga scala con cui, combinando misure morfometriche cerebrali e misure neuropsicologiche, si possa predire la risposta del singolo paziente ad una classe di farmaci, gli anticolinesterasici, i quali, pur dotati di una qualche efficacia nelle demenze, sono gravati da potenziali importanti effetti collaterali e da importanti costi per la sanità pubblica e per i pazienti. Abbiamo avanzato una richiesta di finanziamento al Ministero della Salute per poter condurre quello studio su più larga scala che ci dovrebbe permettere di passare dalla dimostrazione della “proof of principle” alla pratica clinica».
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ATTENZIONE A RICOVERARE GLI ANZIANI IN OSPEDALE. IL LORO RISCHIO COGNITIVO RADDOPPIA.
(Corriere della Sera) La situazione peggiora per i malati di Parkinson. Ma un ristretto gruppo di pazienti resiste allo stress da malattia. Secondo uno studio su 1870 pazienti che avevano almeno 65 anni pubblicato dalla Rush University di Chicago su Neurology l’ospedalizzazione accelera il declino cognitivo degli anziani, che letteralmente raddoppia, facendoli sembrare più vecchi di 10 anni: l’effetto si manifesta soprattutto sulla memoria a lungo termine dove risulta triplicato e sull’attenzione, che decade una volta e mezza più rapidamente. Più lunga era l’ospedalizzazione, più grave la malattia al momento del ricovero e più elevata l’età del soggetto, peggiore era il declino cognitivo.
SITUAZIONE PEGGIORE PER I MALATI DI PARKINSON – Una situazione che, secondo un altro studio pubblicato sempre su Neurology dai ricercatori olandesi dell’Università di Maastricht diretti da Oliver Gerlach, si propone in maniera ancor più drammatica quando a essere ricoverato è un anziano affetto da malattia di Parkinson che mediamente deve affrontare tempi di ricovero più lunghi e più frequenti: un quarto di loro infatti va in ospedale almeno una volta all’anno, ma non trova strutture capaci di seguire linee guida adatte ad assicurargli la migliore assistenza. Eppure un ristretto gruppo di anziani non risente di questo effetto e i risultati di questo studio sono uno stimolo in più per cercare di capire il mistero della cosiddetta «resilienza», cioè la resistenza allo stress di malattia che non riguarda solo gli anziani, ma tutti, giovani e vecchi. Perchè alcuni resistono meglio degli altri, non solo all’ospedalizzazione, ma in generale allo stress delle situazioni avverse della vita?
PERDITA DI AUTONOMIA – «Nel ricovero la «resilienza» degli anziani in particolare è peraltro minata dalla perdita dell’autonomia con conseguente calo dell’umore che avvia un deleterio circolo vizioso di tipo depressivo –puntualizza il Prof. Costanzo Gala, Primario di Psichiatria nell’Azienda Ospedaliera San Paolo di Milano dove è anche Direttore del Centro per la Diagnosi e la Cura della Depressione nell’Anziano- Ciò che innanzitutto dovrebbe cambiare è il modo di gestire l’assistenza agli anziani che passano troppo tempo a letto, da soli o attaccati ai monitor invece di essere fatti alzare quando possibile e di essere incoraggiati a muoversi, a usare la sedia a rotelle, avere contatti con gli altri ricoverati, a socializzare. I risultati di questo studio non mi sorprendono. Sono cose che vediamo tutti i giorni: in ospedale ci si preoccupa del problema medico e l’aspetto cognitivo e psichico passano in secondo piano!». «A una certa età sarebbe meglio star lontani dagli ospedali, anche se a volte non si può evitare –ha commentato dal’altra parte dell’Atlantico la Vicedirettrice del National Institute on Aging USA Marie Bernard –Ma se il ricovero è l’ultima spiaggia, questo non significa che bisogna star lontani dai medici, anzi occorre farsi seguire costantemente proprio per evitare di arrivare all’estrema ratio del ricovero!» «Quello che abbiamo verificato – riassume Robert Wilson, principale autore dello studio- è che, una volta varcata la soglia dell’ospedale, per l’anziano inizia in molti casi un declino più o meno rapido che poi è spesso difficile recuperare».
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SALUTE: PER PERDERE PESO BASTA DORMIRE A TEMPO
(ANSA) Ne avete abbastanza di diete e di esercizio? Vi potete rilassare, perche’ la maniera di tenere sotto controllo il peso, e’ di dormirci sopra. Cosi’ conclude una ricerca sui ritmi circadiani che regolano il ciclo sonno-veglia, presentata ieri sera a un seminario sull’obesita’ dell’Istituto Garvan di Melbourne.
Lo studio, esposto dal biologo chimico Gad Asher dell’Istituto di Scienza Weizman di Israele, conclude che ogni cellula del corpo ha un suo ‘orologio circadiano’. Rivela inoltre un legame fra i turbamenti del ciclo, tipici di chi lavora in turni di notte, e disturbi metabolici. Dormire otto ore a notte e mangiare di giorno puo’ essere importante nel controllare il peso quanto la dieta e l’esercizio, sostiene lo studioso.
L’equipe guidata da Asher ha scoperto che una proteina legata all’invecchiamento e al metabolismo, chiamata Sirt1, e’ ‘l’anello mancante’ fra gli orologi circadiani e il metabolismo e sarebbe un fattore in disturbi metabolici come obesita’ e diabete tipo 2. Una conclusione che conferma uno studio australiano secondo cui chi fa turni di notte, mangia a notte tarda e dorme durante il giorno, e’ piu’ suscettibile all’obesita’.
Lo studio della Scuola di Psicologia e Psichiatria dell’Universita’ Monash di Melbourne, anch’esso presentato al seminario, indica che dopo pochi giorni di sonno inadeguato, gli ormoni dell’appetito leptina e grelina stimolano un appetito accresciuto. (ANSA)
http://www.ansa.it/saluteebenessere/notizie/rubriche/medicina/2012/05/16/Salute-perdere-peso-basta-dormire-tempo_6878038.html
SCENARIO CRISI
IL RAPPORTO. COME IL MONDO HA RISPOSTO ALLA CRISI.
(Rassegna.it) L’Ilo e la Banca Mondiale esaminano le misure adottate contro la recessione economica. “E’ necessario puntare sul lavoro, rafforzare le reti di sicurezza e ricucire il dialogo sociale”. In una banca dati online tutte le misure prese dai governi
Quali sono le politiche sul lavoro adottate dai paesi del mondo in risposta alla crisi economica e finanziaria? Può un’azione decisa di stimolo al lavoro risollevare l’economia mondiale stimolando l’occupazione, i redditi delle famiglie e la crescita economica, e riducendo la povertà? E ancora, quali sono le strade da intraprendere per creare una sorta di “paracadute sociale” in caso di nuove crisi future?
Sono queste le domande che si sono poste l’Organizzazione Internazionale del lavoro (Ilo) e la Banca Mondiale. Le molte risposte elaborate sono tutte contenute in un nuovo rapporto congiunto intitolato Inventory of Policy Responses to the Financial and Economic Crisis (Inventario delle misure dei governi contro crisi economica e finanziaria), e una banca dati online.
Si tratta del primo inventario mondiale di questo tipo ed è stato realizzato su richiesta dei leader al G20 di Pittsburgh nel 2009. Il rapporto mostra come i governi di tutto il mondo abbiano puntato sul lavoro per risollevare la testa dalla recessione globale, mentre nella nuova banca dati è possibile trovare tutte le misure che i governi hanno attuato durante la fase più acuta della crisi finanziaria (2088-2010), e le implicazioni per l’elaborazione di politiche in risposta a future recessioni economiche.
Secondo Ilo e la Banca mondiale, nella maggior parte dei 55 paesi a basso e medio reddito e nei 22 paesi ad alto reddito esaminati, contrariamente alle precedenti crisi, gli interventi dei governi per mitigare le conseguenze della recessione sono stati considerevoli. Non solo la maggioranza dei paesi ha utilizzato politiche fiscali e monetarie espansive per stimolare l’economia, ma è anche intervenuta direttamente per proteggere o creare posti di lavoro, per salvaguardare le competenze, facilitare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, e per proteggere i redditi dei disoccupati e dei gruppi vulnerabili. In molti casi, il dialogo sociale è servito a orientare le risposte politiche. Questo è stato fondamentale, ad esempio, nell’attuazione di disposizioni per la condivisione del lavoro. Ci sono differenze, tra paese e paese, però. Dal lato della domanda, i paesi ad alto reddito si sono concentrati nel facilitare l’accesso al credito, mentre i paesi a basso e medio reddito hanno favorito la creazione di posti di lavoro e incentivi all’assunzione. Dal lato dell’offerta, invece, le misure in materia di competenze e formazione sono state una priorità per tutti i paesi. Tuttavia, i paesi ad alto reddito avevano a disposizione maggiori risorse per sostenere i giovani durante la crisi.
Nel testo, poi, ci si interroga su quanto i paesi fossero preparati a rispondere alla crisi, specialmente quelli in via di sviluppo. Molti paesi, ad esempio, non disponevano di programmi sulla sicurezza sociale che potevano essere estesi durante la crisi. Inoltre, da un punto di vista generale, la copertura dei programmi di assicurazione sociale era piuttosto ridotta. Le politiche come l’aumento del livello e della durata dei sussidi di disoccupazione, per esempio, sono state utili, ma in alcuni casi, ne hanno potuto beneficiare solo i lavoratori del settore formale. Le politiche attive del mercato del lavoro come i servizi all’impiego, la formazione e i sussidi salariali, di solito sono stati utilizzati, ma ci sono molti esempi su come migliorarne l’elaborazione e l’attuazione. Infine, molti paesi non dispongono di indagini o dati che consentano di monitorare le conseguenze della crisi sui mercati del lavoro e sui lavoratori.
Ecco, dunque la necessità di una banca dati facilmente accessibile, grazie alla quale “i rappresentanti dei governi hanno ora accesso a dati e a informazioni sulle misure avviate da altri paesi. Questo consentirà di conoscere le migliori pratiche per creare posti di lavoro e per ridurre la povertà in caso di crisi”, ha dichiarato Tamar Manuelyan Atinc, vice Presidente per lo sviluppo umano della Banca Mondiale.
“L’Ilo e la Banca Mondiale hanno unito le loro forze per creare questo strumento al Patto Globale per l’occupazione”, ha invece affermato José Manuel Salazar-Xirinachs, Direttore esecutivo dell’Ilo. “I rappresentanti dei governi e i ricercatori di tutto il mondo potranno utilizzare questa banca dati per analizzare le politiche e trarre ulteriori lezioni che, dal momento che la crisi persiste, continuano tuttora ad avere la loro rilevanza”.
Il rapporto, infine, raccomanda ai governi di migliorare il coordinamento tra politiche macro e settorialie di estendere la copertura dell’assicurazione sociale a tutti i lavoratori. Seconod Ilo e Banca Mondiale, poi, è necessario integrare e rafforzare le reti di sicurezza, ripensare i piani relativi alle politiche attive del mercato del lavoro, investire nei sistemi di informazione sul mercato del lavoro e promuovere il dialogo sociale.
http://www.rassegna.it/articoli/2012/04/20/86473/come-il-mondo-ha-risposto-alla-crisi
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