IL PIANO B E’ SEMPRE “SCAPPA”

“…si nasce con uno strumento, il sistema nervoso, che permette di entrare in contatto con l’ambiente umano circostante, e tale strumento è in origine molto simile a quello del vicino. A questo punto sembra utile conoscere le regole che stabiliscono le strutture sociali nelle quali l’insieme dei sistemi nervosi degli uomini di un’epoca, temporanei eredi degli automatismi culturali di coloro che li hanno preceduti, imprigionano il bambino fin dalla nascita, lasciando a sua disposizione solo un armadio pieno zeppo di giudizi di valore. Acquisita tale conoscenza, sia pure imperfetta, ogni uomo saprà esprimere un’unica motivazione, quella di rimanere normale. Normale non rispetto alla maggioranza che, sottomessa inconsciamente a giudizi di valore con finalità sociologica, è costituita da individui perfettamente anormali rispetto a se stessi. Rimanere normali è, prima di tutto, rimanere normali rispetto a se stessi. Per questo occorre mantenere la possibilità di agire secondo le pulsioni, trasformate dall’esperienza socio culturale, rimessa costantemente in causa dall’immaginazione e dalla creatività. Ora lo spazio in cui si compie questa azione è occupato anche dagli altri. Bisognerà evitare lo scontro perché da esso scaturirà per forza una scala gerarchica di dominanza che ha poche probabilità di soddisfare, in quanto aliena il proprio desiderio al desiderio altrui. D’altra parte, sottomettersi vuol dire accettare, con la sottomissione, la patologia psicosomatica che deriva necessariamente dall’impossibilità di agire secondo le pulsioni. Ribellarsi significa rovinarsi con le proprie mani, perché la ribellione, se attuata da un gruppo, ricostituisce subito una scala gerarchica di sottomissione all’interno del gruppo, e la ribellione solitaria porta rapidamente alla soppressione del ribelle da parte della generalità anormale che si crede detentrice della normalità. Non rimane che la fuga…”Henri Laborit- Elogio della fuga

Alfréd Wetzler è stato un ebreo slovacco, uno fra i pochissimi conosciuti ad essere riuscito nel tentativo di fuggire da Auschwitz. La vittoria la ottenne insieme al compagno di condizione, Rudolf Vrba. Nel 1944, alle 2 di notte, era un Venerdì due uomini con divisa, capotto e stivali da tenenti si allontanarono dal campo dopo essere rimasti nascosti sotto una catasta di legna da ardere e con l’aiuto di altri compagni che distrassero le guardie. Camminarono per 133 km nascosti, fino al confine con la Slovacchia. Liberi scrissero un report di 32 pagine, Vrba-Wetzler, in cui sono descritti i lavori svolti all’interno del campo, dettagli sulla costruzione delle camere a gas, un’accurata piantina.

I due riuscirono a tenere la rotta fino al confine usando come unico riferimento la pagina strappata di un atlante per bambini, presa di nascosto dalla bottega del campo.

Sławomir Rawicz è stato un soldato polacco, arrestato nel ’39 dalle truppe sovietiche in seguito all’occupazione della Polonia da parte di russi e tedeschi. Dopo aver resistito ad un ventaglio variegato di torture fu condannato a 25 anni di lavori forzati in Siberia. Due anni dopo, durante una tempesta di neve, evento che lassù dev’essere senza rivali, fuggì con altri sei compagni. Attraversarono il Deserto del Gobi fino al Tibet. Poi anche l’ Himalaya, durante l’inverno. Nel 1942 chi sopravvisse tra i fuggitivi arrivò in India.

Riguardo la fuga del Gesuita John Gerard, imprigionato e torturato nel 1597 all’interno della Torre di Londra, sotto il regno protestante di Elisabetta I, non si conoscono i dettagli ma sì gli oggetti serviti: inchiostro invisibile a base di suco d’aracia, dei lacci e una corda, l’aiuto di qualche compagno e magari qualche preghiera andata a buon fine.

Nel 1962 Frank Morris , Clarence  e John Anglin uscirono di nascosto dalla prigione-fortino Alcatraz, senza concederci un finale ma regalando una fuga da racconto di avventura. Si è detto che il piano per uscirne iniziò il giorno stesso dell’ingresso. Pare che con l’aiuto di un cucchiaio e un ingranaggio rubato da un’aspirapolvere i tre iniziarono a scavare i muri delle loro celle per raggiungere il condotto di ventilazione. Dopo il tunnel salirono su una zattera costruita in qualche modo e mai più furono visti, vivi o morti. Il mattino seguente le guardi trovarono nei letti di ognuno delle teste fatte con carta igienica, sapone modellato e capelli.Veri.

I turchi arrestarono uno studente americano, Billy Hayes, nel 1970, per aver cercato di portare sull’aereo dell’hashish comprato i Turchia. Catturato, venne condannato a scontare 30 anni di prigione. Ci mise 5 anni a capire che la condanna non gli sarebbe stata scontata mai. Riuscì a fuggire in compagnia di una zattera e scrisse un libro sull’esperienza, dal titolo Midnight Express.

Esempi di tentativi, esempi di libertà. Me ne servo perché una domanda non mi abbandona. Una volta liberi cosa si fa?

Molte persone che lasciano il carcere dopo anni si trovano così male da aver voglia di tornarci. Questa credo sia la più amara conseguenza di tanto e tanti ordini imposti. Nella polemica siamo dei campioni di retorica, perché il conflitto è compagno fedele più di un cane zoppo. Non è difficile pensare come sia stata la preparazione alla fuga la miglior compagna di questi uomini non liberi. Una volta fuori cosa succede? Siamo preparati a regalare a noi stessi un altro ordine o sappiamo solo stenderlo i progetto su carta?

Vorrei che di fronte ad ogni non giustizia ci allenassimo a rispondere perché la libertà potrebbe sempre capitare o riuscire dopo aver tanto cercato. Tutti vogliamo dire no, lo manifestiamo ed esigiamo i nostri diritti. Ma la pace, in senso ampio e personale, è più difficile del combattimento. Tante alternative quante ne possiamo immaginare sono spesso più spaventose della libertà imposta a stretti canoni. Come nella musica, per fare un canone inverso le note vanno conosciute come se fossero le nostre uniche tasche, per poterle alterare vanno prima messe in una fila ordinata.

Come esponente della categoria PSIche sono certo indignata per i misteri che aspettano gli studenti fuori dall’Università ma non mi sono mai arrabbiata molto mentre tenevo la testa sui libri. Leggevo e imparavo perché sentivo il gusto. Ora mi sento senza risposte e forse senza domande. Trovare un colpevole mi porta a fare giustizia ma non sono Charles Bronson e non è sempre notte.

Cosa vorrei che fosse al posto di quello che vedo, quanto lo vorrei e come lo farei? Non credo che ci aiuteranno in questo ma ci sento capaci di cavalcare l’onda non anomala di questi tempi liquidi. Intanto dalle storie conservo il consiglio e preparo presto un manuale con tutti i passi per costruire una zattera di sorte nella sfortuna.

Olimpia Parboni Arquati


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