“L’Italia deve mettere da parte gli accordi con la Libia sul controllo degli immigrati”: Amnesty International lancia un appello che appare una dura contestazione e, insieme, una sfida aperta al premier Monti. La contestazione di una politica che ricalca in pratica quella condotta, auspice Berlusconi, ai tempi di Gheddafi. E la sfida ad avere il coraggio di ammettere che è stato quanto meno un errore aver ribadito, in tema di immigrazione, una intesa che viola sistematicamente i diritti umani e provoca ogni anno centinaia di vittime.
Il primo atto di questa preoccupante deriva imboccata da Monti e dal suo governo è stato, all’inizio dell’anno, il rinnovo del trattato di amicizia Berlusconi-Gheddafi. Da più parti si erano levate voci autorevoli per chiedere di non firmare senza pretendere prima, come condizione irrinunciabile, dal governo rivoluzionario, la garanzia del rispetto dei diritti umani, con la possibilità di controlli e verifiche costanti, anche nei centri di detenzione, da parte delle commissioni internazionali e delle organizzazioni umanitarie. Particolarmente vivace e decisa la presa di posizione di Angelo Del Boca, lo storico italiano più addentro nelle questioni africane e, in particolare, nelle vicende delle ex colonie italiane. E, con Del Boca, un coro di associazioni, singoli operatori, esperti, giornalisti. Tutto inutile. Monti ha firmato e basta. Al buio.
Enorme la delusione di quanti si aspettavano che fosse finito per sempre il tempo dei baciamano al rais, dei respingimenti indiscriminati in mare, degli innocenti abbandonati ad ogni genere di ricatto e violenza nelle carceri libiche. Spesso, anzi, alla morte stessa. L’unica speranza era che, trattandosi di un accordo globale che rinviava ad una intesa specifica taluni problemi, ci potesse essere una inversione di rotta almeno sulla questione dei migranti, dei profughi e dei richiedenti asilo. Tanto più che in febbraio, pochi giorni dopo la firma del trattato, l’Italia ha pagato la politica dei respingimenti condotta negli ultimi anni con la condanna ufficiale da parte della Corte europea per i diritti umani, mentre stava ormai maturando anche quella, arrivata poi nel mese di maggio, per l’inchiesta condotta dal Consiglio d’Europa per la tragedia dei 64 profughi eritrei, somali ed etiopi abbandonati in mare a morire di sete e di stenti alla fine di aprile 2011. L’attesa, però, è stata di nuovo tradita. L’accordo sull’immigrazione, firmato il tre aprile scorso dal ministro italiano dell’interno Anna Maria Cancellieri e da quello libico Fawzi Al Taher Abdulali, ribadisce nella sostanza le linee dettate dal leghista Roberto Maroni quando era alla guida del Viminale. Forse proprio per questo il testo non è mai stato reso noto: il governo non ne ha fatto parola; il Parlamento non ha chiesto delucidazioni; la stampa si è disinteressata. Un “silenziamento” perfetto.
Alcune informazioni, alla fine, sono trapelate solo grazie alle denunce di Amnesty e all’impegno di alcuni giornalisti isolati. E quanto è venuto fuori è disarmante: una sequela di ipocrisia ed equivoci. Basti citare il punto relativo alla costruzione di “un centro sanitario a Kufra per garantire i servizi di primo soccorso a favore dell’immigrazione illegale”. A Kufra, in effetti, arrivano migliaia di migranti da tutta la regione sub sahariana e dal Corno d’Africa. “Ma – denuncia Amnesty – non è mai stata un centro sanitario, né tantomeno un centro di accoglienza: è un centro di detenzione durissimo, disumano. E i centri di accoglienza di cui si sollecita il ripristino, chiedendo la collaborazione della Commissione Europea, hanno a loro volta funzionato come centri di detenzione, veri e propri luoghi di tortura. Ciò, nella situazione attuale, significa che l’Italia offre collaborazione a mettere a rischio la vita delle persone che si trovano in Libia”.
Tutto lascia credere che lo stesso valga per i respingimenti in mare, magari mascherati da “pattugliamenti”, che fonti libiche hanno dato più volte per confermati, senza modifiche sostanziali. Alcuni esponenti del governo – come i ministri della cooperazione Andrea Riccardi e degli esteri Giulio Terzi – hanno preso le distanze da questa “linea dura”, dichiarando pubblicamente che i respingimenti non sono nell’agenda dell’esecutivo. Amnesty non manca di prenderne atto. Ma Riccardi e Terzi non sono andati al di là delle parole. E, del resto, proprio nei giorni in cui “si dissociavano”, è esploso il caso, denunciato dall’agenzia Habeshia, dei 76 richiedenti asilo eritrei intercettati il 29 giugno nel Canale di Sicilia, in acque internazionali, “da mezzi navali battenti doppia bandiera, quella libica e quella italiana”, bloccati dalla motovedetta Napolyo 25 e respinti di forza fino a Tripoli, dove sono stati presi in consegna dalla polizia e rinchiusi nel centro di detenzione di Sibrata Mentega Delila. Tra i prigionieri ci sono anche numerose donne e bambini: il più piccolo ha appena due anni.
I motivi dell’appello di Amnesty al governo Monti sono tutti in episodi come questo. L’idea guida è che non si può firmare un “accordo al buio” con la Libia, un paese che non ha mai sottoscritto la Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status di rifugiato politico, sicché non si fa nessuna distinzione tra richiedenti asilo e migranti. Poco importa se arrivano a migliaia eritrei, etiopi, somali sudanesi che fuggono da guerra e persecuzioni. Al ministro Cancellieri in particolare, ricordando che l’Italia si è impegnata pubblicamente a rispettare la sentenza emanata lo scorso febbraio dalla Corte europea per i diritti umani, vengono formulate quattro richieste: mettere da parte gli accordi sul controllo dell’emigrazione con la Libia; rendere pubblici tutti gli accordi di questo genere negoziati con la Libia o con qualsiasi altro paese; rendere noti i dettagli dei progetti di cooperazione con la Libia passati e presenti (compresi quelli finanziati dall’Unione Europea) e le informazioni sulla fornitura di risorse, personale e attrezzature; impegnarsi a stipulare ulteriori accordi sul controllo degli immigrati solo dopo che la Libia avrà dimostrato di proteggere i diritti umani di rifugiati, richiedenti asilo e migranti.
In pochi giorni l’appello ha già raccolto migliaia di firme. Per aderire basta collegarsi al sito internet di Amnesty.
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