CHE SOCIETA’ SI CREA SENZA PARTECIPAZIONE DEMOCRATICA?

“La recessione aumenta l’incertezza sul futuro e acuisce le paure. E quando ci sono le paure è normale che si cerchi qualcuno su cui concentrare le nostre paure, che possa  rappresentarne l’origine”: così il ministro del welfare, quello che una volta si chiamava del lavoro, Elsa Fornero, ha commentato i risultati dell’ultimo rapporto sull’immigrazione che l’Ufficio antirazzismo del Ministero delle pari opportunità ha commissionato all’Istat. Dall’indagine emerge che gli italiani, pur dicendosi in maggioranza disponibili ad aiutare gli stranieri e a comprenderne i problemi, nella pratica mostrano poi netti atteggiamenti di  chiusura.

Chiedono, ad esempio, che lavoro, case, assistenza, servizi, scuole, sanità siano destinati prima agli italiani e solo in subordine agli immigrati; si dicono favorevoli ai matrimoni misti, purché però non riguardino un proprio familiare; confermano in massa l’associazione stranieri-criminalità; si dicono contrari ad avere una moschea nel proprio quartiere; mostrano una grande ostilità, in particolare, nei confronti di rom e sinti. E’ davvero “normale” e, dunque, comprensibile tutto questo, perché c’è la crisi? Forse questo orientamento va considerato il “normale” frutto di radicati pregiudizi, di egoismi più o meno nascosti, di ignoranza e diffidenza per il diverso, di chiusure culturali antiche. Ma non sembra accettabile definirlo “normale” tout-court. Limitarsi, cioè, a prenderne atto senza combatterlo e senza segnare chiaramente le distanze.

Specie da parte di un politico. Anzi, di un ministro. Non ha nulla di normale, infatti, il clima diffuso che si sta creando, favorito anche dalla recessione. Un clima da soppressione dei diritti e da guerra dei  penultimi contro gli ultimi. Specie se gli “ultimi” assumono anche la veste di “diversi”: gli estranei su cui scaricare le nostre paure individuali e collettive, i responsabili, anzi, l’origine stessa del problema. E’ proprio così – vale la pena ricordarlo – che sono maturate le persecuzioni più tragiche e sanguinose della storia: facendo dei “diversi” il capro espiatorio. A prescindere. Ecco, allora, perché la politica non può limitarsi a dire che è normale quanto emerge dall’indagine Istat, come se si trattasse di un fenomeno naturale, ineluttabile.

Il compito della politica è esattamente l’opposto: è arginare, isolare e sconfiggere queste paure e questa pericolosa deriva, cercando di guardare e  affrontare i problemi con gli occhi degli ultimi, i più deboli. Sono tanti, troppi, però, i segnali contrari che vengono “dall’alto”. Come la recente presa di posizione di Mario Monti sulla concertazione, definita una delle principali cause della crisi italiana. La concertazione, in realtà, è lo sforzo comune di trovare insieme – governo, politica, parti sociali, società civile – il sistema migliore per risolvere i grandi problemi, fare fronte alle emergenze più gravi, uscire dalle situazioni più difficili ripartendo con la massima equità possibile i sacrifici e gli impegni, i compiti e le funzioni.

E’ proprio con la concertazione che il Paese ha vinto battaglie memorabili in condizioni che spesso apparivano disperate: con l’appoggio, il contributo e la partecipazione di tutti. Ma per il premier sembra un fastidio, un intoppo. Anzi, forse il primo dei problemi, perché non consente sufficiente autonomia al governo. Quale autonomia? Quella di applicare molto il rigore e assai poco l’equità? Di colpire i più deboli, gli ultimi? E ancora. Tra le più recenti ricette anticrisi della Banca centrale europea c’è quella di rimettere mano alle pensioni e di ridurre ulteriormente i salari. Come dire: ancora una volta i lavoratori, la gente comune, nel mirino. E, a proposito di lavoro, viene in mente la lunga polemica sull’articolo 18. Nel pieno della discussione, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha sostenuto che la riforma prospettata dal governo Monti con il ministro Fornero non avrebbe comportato nessun licenziamento anomalo e, soprattutto, nessun contraccolpo nei diritti dei lavoratori.

Eppure più di un costituzionalista ha fatto notare che, prospettando quanto meno un passo indietro da parte dello Stato come garante del diritto fondamentale al lavoro, rischia di aver messo in discussione proprio il primo capoverso dell’articolo uno della Carta: “L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro”. D’altra parte la politica non ha trovato nulla da ridire su quanto è accaduto allo stabilimento Fiat di Pomigliano, dove l’azienda ha escluso a priori dal lavoro tutti gli operai iscritti alla Fiom, il sindacato dei metalmeccanici della Cgil. Già, tutte le nuove assunzioni sono state fatte selezionando i dipendenti in base alla tessera sindacale che hanno in tasca e, in definitiva, alle idee che professano. Come sotto il fascismo.

E’ dovuta intervenire la magistratura, su denuncia della Fiom nazionale, a imporre nuove assunzioni e nuovi criteri e a sancire, soprattutto, che si era in presenza di una evidente, inammissibile discriminazione. E’ un caso clamoroso. Sono stati violati palesemente dei diritti. Anche costituzionali. Ma la politica ha taciuto. Tutta la politica: il presidente della Repubblica, i presidenti delle due Camere, il governo, i singoli partiti. Salvo poi a lamentarsi se un magistrato interviene a colmare questi enormi vuoti e questi rumorosissimi silenzi. C’è da chiedersi, allora, che tipo di società abbia in mente questa politica.

Una volta si diceva che libertà e democrazia sono partecipazione. L’impressione è che, invece, per il governo dei professori, per i politici che l’hanno inventato e lo sostengono, ma anche per i dirigenti e i “tecnici” della Banca Europea, della Banca Mondiale e del Fondo monetario internazionale, la partecipazione democratica sia un impaccio. Che in mente abbiano una società gestita da una “elite”, cioè da loro. Senza troppi impedimenti tra i piedi. Incluso, forse, lo stesso Parlamento eletto dal popolo. Ed è chiaro, allora, che in una società di questo genere, dove i diritti contano sempre di meno, diventa normale – normale tout-court – “cercare qualcuno su cui scaricare le proprie paure”.


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