Seconda parte dell’intervista a Don Zerai che descrive il meccanismo infernale del traffico d’organi nel Sinai. Emergono particolari inediti e interessanti sul funzionamento della tratta e su come le cose vadano sempre peggio tra l’indifferenza generale
“Il presidente egiziano Mohamed Morsi è stato in visita in Italia nei giorni scorsi. Ha incontrato il presidente Giorgio Napolitano, il premier Mario Monti e autorevoli esponenti del governo, incluso il ministro degli esteri Giulio Terzi, ma nessuno gli ha chiesto un impegno concreto per una lotta più serrata, reale, contro il traffico di esseri umani e di organi”.Don Mussie Zerai, il portavoce dell’agenzia Habeshia, è insieme disperato e indignato: non riesce a capire questo “silenziamento” blindato sulla tragedia dei profughi che continuano a morire, ad essere uccisi, torturati, imprigionati, solo perché “colpevoli” di aver abbandonato il proprio paese, in cerca di libertà e di una vita dignitosa. La presenza di Mohamed Morsi a Roma avrebbe potuto essere una buona occasione per spingerlo finalmente ad affrontare l’enorme emergenza umanitaria degli schiavi del Sinai. Invece, ancora una volta, hanno taciuto tutti. Eppure il “conto della morte” è impressionante.“Dal 2007 al 2012 – ricorda don Zerai – dall’Egitto e dal Nord Africa sono passati oltre 100 mila profughi. Tutti vittime del traffico di esseri umani. E dal 2009 al 2012 più di 3 mila giovani sono scomparsi nel nulla, nella regione del Sinai, a cavallo del confine tra l’Egitto ed Israele. Si teme che siano tutti morti, sacrificati al traffico di organi per i trapianti clandestini. Oppure uccisi dalla polizia egiziana: i militari della guardia di frontiera non esitano a sparare contro questi disperati, spesso alle spalle, dopo che sono riusciti a superare in qualche modo le ronde di controllo, mentre cercano di varcare la “linea rossa”. Proprio pochi giorni fa ho ricevuto la terribile notizie della morte di un ragazzino eritreo di 13 anni: non ha retto alle torture dei suoi aguzzini nel Sinai. E molti altri rischiano di fare la sua stessa fine. Ma il governo egiziano ‘rivoluzionario’ non sta facendo nulla per fermare questo orrore, un crimine contro l’umanità che si perpetua giorno per giorno nel suo territorio nazionale”.
Dai tempi di Mubarak, dunque, in Egitto non è cambiato nulla per i profughi schiavi.
“Mubarak faceva finta di non vedere. Non aveva interesse a mettersi contro i clan beduini che sfruttano questo mercato di carne umana e i cui capi spesso controllano interi villaggi o tribù. E’ un problema complesso. I beduini che abitano da secoli nel deserto sono gente povera: vivono di pastorizia, allevamento, piccoli commerci. A loro non arrivano neanche le briciole dei ricchi profitti portati dal turismo nei grandi centri, come Sharm el Sheik ad esempio, allestiti per i vacanzieri occidentali sul Mar Rosso. Ecco, l’alleanza tacita con quei capi clan serviva a Mubarak per prevenire eventuali ribellioni e soffocare il malcontento. In cambio ha consentito loro di continuare i traffici di sempre nel deserto, dove passa di tutto: tabacco, armi, droga. Da qualche anno anche uomini e donne fuggiti dal Corno d’Africa o dall’area sub sahariana. I nuovi schiavi. Ora, dopo la rivoluzione, il Sinai è diventato una polveriera. Si contendono il controllo della regione gruppi armati contrapposti, decisi a tutto: indipendentisti, filo palestinesi, salafiti. Non c’è uomo che non sia armato: decine di migliaia di giovani pronti a ribellarsi e a imporre l’autorità della loro fazione. E ogni fazione, ogni clan, ha bisogno di soldi per alimentare il proprio piccolo esercito, dotato ormai anche di armi pesanti, come i pick up muniti di mitragliere e lanciarazzi. C’è da credere che il traffico di profughi schiavi sia una delle fonti più lucrose. Si spiega solo così come nel giro di appena un anno il prezzo del riscatto sia più che triplicato: da 8-10 mila dollari si è saliti a 30 mila, qualche volta 35 mila. E chi non può pagare viene ucciso per venderne gli organi sul mercato dei trapianti clandestini. Anzi, ormai accade di frequente che i trafficanti non chiedano nemmeno più il riscatto: specie se hanno qualche richiesta in sospeso, non esitano a trucidare quasi subito i prigionieri per soddisfare la ‘borsa’ dei trapianti. Le quotazioni, evidentemente, sono sempre più alte”.
Ma come funziona esattamente? Com’è possibile fare operazioni di espianto in pieno deserto, su persone provate da settimane, mesi di prigionia crudele, e garantire poi che gli organi prelevati arrivino integri a destinazione?
“C’è dietro una organizzazione criminale internazionale che si è altamente specializzata e che sembra disporre di risorse infinite. A quanto mi riferiscono, i prigionieri ‘venduti’ sono consegnati a camper speciali, vere e proprie camere operatorie viaggianti, dotate di buone attrezzature, inclusi ovviamente i frigo medici per la conservazione e il trasporto degli organi. Avvenuto l’espianto, il corpo della vittima viene abbandonato nel deserto e gli organi prelevati avviati a destinazione. In tutta segretezza ma anche in tutta sicurezza”.
Sono stati infatti trovati numerosi cadaveri nel deserto: li hanno fotografati e le immagini sono comparse in alcuni servizi giornalistici. In Italia, ad esempio, se ne è occupato il settimanale L’Espresso nel numero del 17 novembre 2011. Ma quali sono i paesi dove poi vengono effettuati i trapianti?
“Per quanto ne so, c’è una forte domanda che alimenta il mercato un po’ da tutto il mondo. Anche dall’Europa e dagli Stati Uniti. Tuttavia le cliniche e i centri medici privati che si prestano, operano in genere in paesi dove i controlli sono aleatori. Un paio di mesi fa si è scoperta una grossa clinica in Kosovo, a Pristina, terminale di una corrente di traffico di organi che nasceva in Israele e in Turchia. E forti sospetti gravano su diversi paesi arabi, inclusi l’Egitto o gli emirati”.
Prima dell’estate si è occupato di questa tragedia anche il Dipartimento di Stato americano. Habeshia ha preso parte all’incontro.
“Sì, Habeshia è stata convocata a Washington. Il confronto è stato promosso da Hillary Clinton, che ha partecipato di persona. Noi abbiamo spiegato la situazione nei dettagli. Facendo nomi, portando prove, illustrando le circostanze più minute. E chiedendo un impegno concreto subito, a cominciare da una serie di pressioni ufficiali sull’Egitto e su Israele, che controllano il Sinai, perché finalmente venga organizzata una vera azione di contrasto contro questo traffico inumano. Hillary Clinton ha promesso di agire: ‘Siamo fortemente motivati, ha detto, a mettere fine a questa forma moderna di schiavismo…”. Voglio sperare che questo impegno non cada nel vuoto”.
Finora, però, tutti gli impegni sono stati disattesi. La comunità internazionale continua a defilarsi.
“Purtroppo è proprio così. Per questo la situazione si aggrava. Anzi, si registra una chiusura ancora maggiore. In Europa, ad esempio. Ma anche in Israele, dove i respingimenti indiscriminati nel deserto sono ormai la norma e dove il governo si appresta a scacciare i 60 mila profughi e richiederti asilo arrivati negli ultimi anni. Con i circa 30 mila sudanesi ha già cominciato. Poi sicuramente le espulsioni di massa riguarderanno gli eritrei, i somali e gli etiopi. In Egitto va anche peggio. Non solo il governo non sta facendo nulla per fermare la strage nel Sinai, ma ha le carceri piene di profughi, giovani bloccati mentre cercavano di passare il confine con Israele e lasciati marcire in prigione. Malati, feriti, senza alcuna assistenza. Per questo sarebbe stato importante che l’Italia chiedesse in forma ufficiale, al presidente Mohamed Mursi, durante la sua visita a Roma, un impegno su questa tragedia. L’Egitto ha firmato la convenzione di Ginevra del 1951 sui diritti dei profughi eppure, come dimostrano i richiedenti asilo ‘sepolti vivi’ nei centri di detenzione, nonla rispetta. Perchéallora non subordinare o, comunque, non far procedere di pari passo la pretesa del rispetto della dignità umana con gli accordi commerciali ed economici appena firmati?”
E l’Italia, a questo punto?
“L’Italia, con la sua politica, diventa complice di tutto questo orrore. L’ho denunciato più volte. E, del resto, le due condanne arrivate quest’anno dalla Corte Europea per i diritti umani e dal Consiglio d’Europa, sono eloquenti di per sé. Sono i fatti stessi a parlare. Il dramma del Sinai è esploso nel 2010, all’indomani del primo trattato tra Italia e Libia, che ha introdotto i respingimenti indiscriminati in mare e affidato il controllo dell’emigrazione alla polizia libica. La via di emigrazione principale dall’area sub sahariana, attraverso la Libia e il Mediterraneo, si è quasi bloccata e si è infoltita quella del Sinai, controllato dai predoni beduini. Ce ne siamo accorti, come Habeshia, dalle richieste di aiuto che ci arrivavano. Prima non erano molto numerose e si riferivano, comunque, solo alle necessità di denaro per pagare le spese del viaggio clandestino. Poi, quasi di colpo ma in numero crescente, sono arrivate le segnalazioni disperate dei profughi schiavi che avevano bisogno di somme enormi per il riscatto. Con la minaccia costante di finire vittime del mercato di organi. E’ stato uno choc: un tragedia a cui quasi non volevamo credere. Invece sono presto arrivate le conferme. E va sempre peggio”.
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