“Bambino di dieci anni portato via da scuola con la forza dalla polizia. I genitori si disputano la custodia del figlio dal 2004. Il bambino ha cercato in tutti i modi di evitare il trasferimento in un istituto, dove sarà ora ospitato, per preparare l’affidamento in via esclusiva al padre“.
Questa notizia si è diffusa recentemente in Italia, è stata scioccante, ha svegliato emozioni forti nel pubblico.
Vorrei dedicare questo spazio al perché di questa vicenda, guardandola in un contesto più grande. La scena scioccante della notizia è solo una piccola parte di un lungo percorso di strade errate e patologiche nella famiglia del bambino.
Un amico mi ha chiesto: “Come influirà questa vicenda sullo sviluppo del bambino? Sarà traumatizzato dalla polizia che lo ha portato via con l’uso della forza?“.
Gli rispondo ora. Probabilmente quella scena che abbiamo visto noi tramite i media non è stata decisiva per il trauma del bambino.
Non voglio parlare di come si è comportata la polizia, della scuola, di chi ha cominciato la causa, o di chi ha vinto. Voglio parlare del fatto che un bambino è stato considerato un “premio“, nella guerra tra i genitori, un oggetto da prendere, senza considerare il bene del bambino. Ecco, che cos’è il bene del bambino? Qualcuno se lo è chiesto in questa situazione?
Un altro amico ha commentato questa vicenda, raccontandomi la storia di Re Salomone.
“Due donne si presentarono da Salomone: ciascuna aveva partorito un figlio a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro ed entrambe dormivano nella stessa casa. Una notte accadde che uno dei due bambini morì e sua madre, secondo l’accusa, aveva scambiato il figlio morto con quello vivo dell’altra donna, mentre questa dormiva. Re Salomone, dopo aver ascoltato le due donne sostenere più volte le proprie tesi, fece portare una spada e ordinò che il bambino vivo fosse tagliato a metà, per darne una parte a ciascuna di esse.
A quel punto, la vera madre lo supplicò di consegnare il bimbo all’altra donna, pur di salvarlo. Re Salomone capì così che quella era la vera madre e le restituì il bambino“.
Il mio amico aggiunge: “Questo è una leggenda, ma la storia di oggi racconta che tutti e due i genitori odierni, invece, vogliono tagliare il figlio a metà“.
La nostra società sta cambiando, si parla di crisi, di crisi economica, di crisi dei valori. Cambia il modello della famiglia e il modello genitoriale. E’ più popolare fare la mamma-amica, il padre-accompagnatore, l’educazione diventa più libera e i genitori si divertono (o pensano di divertirsi) facendo i genitori. Il problema è una confusione di ruoli. Il genitore deve anche saper mettere dei limiti, definire lo spazio del bambino, insegnare quello che è giusto e sbagliato, farsi vedere arrabbiato, se c’è il motivo, insegnare al bambino che cosa significa non ottenere subito tutto ciò vuole, sopportare la frustrazione. Insomma, questi sono gli elementi che spesso ai genitori moderni mancano. Le mamme si lamentano spesso che non capiscono il proprio figlio, il neonato (ed è anche comprensibile, normale, si deve imparare a fare la mamma, ma esiste qualcosa che chiamiamo intuizione materna), chiedono aiuto, leggono molto per riuscire a compiere il proprio nuovo ruolo al meglio. Ma l’istinto naturale per ciò è sano, in questo tristissimo modo, sparisce. Si parla moltissimo dell’alimentazione sana, dei prodotti BIO, dei giocatoli stimolanti per l’intelletto, della composizione giusta dei mobili nelle camere, dei colori più corretti per l’energia positiva, delle migliori scuole… (e tutto questo potrebbe andare bene!) , ma in questo affollamento di informazioni ci si dimentica di fare una selezione, usando una vera base sana. Con tutta la voglia di essere dei genitori moderni e fare tutto correttamente, dimentichiamo che la strada giusta è quella antica, sta nel collegarsi più alla vera natura dentro di noi, e tante generazioni l’hanno percorsa prima di noi, questa strada.
Nei tempi di oggi, il figlio diventa l’obbiettivo di vita, non è più una parte “naturale“ nel percorso della relazione. Diventa (inconsciamente) uno strumento per affrontare le nostre vecchie sofferenze non elaborate. Le proprie paure ed ansie hanno molta forza. Vengono trasmesse ai propri figli, lo vediamo chiaramente anche nella storia del bambino portato via con la forza dalla polizia. I genitori – che sono bambini mai cresciuti dalle loro ansie infantili – hanno dovuto chiedere “l’aiuto“ del loro “genitore“ – la polizia, i giudici, gli avvocati – i simboli delle autorità. Grazie alla loro incapacità di prendere responsabilità e decisioni per IL BENE DEL BAMBINO.
Quale è la soluzione, il consiglio, per non ripetere situazioni di questo genere?
Si dice che il bambino può vivere tutto con tranquillità, se i genitori vivono così. Il bambino può persino non essere traumatizzato dalla separazione, dal divorzio dei genitori, se loro sono capaci di prendere decisioni giuste e gestire la situazione con tutta la tranquillità possibile, in una situazione così difficile.
La chiave della soluzione si trova in qualcosa di molto più semplice e deve cominciare a delinearsi prima di diventare genitori. Essere veri con se stessi, non raccontarsi bugie. Chiedere aiuto quando serve e farsi aiutare. Avere risorse vitali ricche e non ridurle solo a cose materiali. Essere curiosi, e sentire il senso di quello che facciamo. Stare bene con sé stessi e stare bene con gli altri. Crearsi la propria identità, prima della relazione di coppia e non confonderla con l’altro. Conoscere quello che ci fa del bene e del male e saperlo comunicare. Essere coscienti delle proprie sofferenze.
Non vorrei semplificare l’argomento ad “un’istruzione d’uso di sé stessi“, ho semplicemente nominato alcuni punti di psico-igiene ed una definizione di salute psichica. Vorrei incoraggiarvi nel capire voi stessi, nella vostra individualità e prendere responsabilità per la propria vita. Perché solo una persona sana può avere un figlio sano.
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Come dice giustamente Barbara Collevecchio, non si risolve il problema di relazione uomo-donna attraverso una contrapposizione. Si vince o si perde entrambi, appartenendo alla stessa unità psichica, e come nell’individuo solo l’armonia dei due principi maschile e femminile genera vita e salute mentale, così quando quest’incontro non funziona si crea il caos. Ma l’armonia del maschile e del femminile non è stata mai cosa semplice, grazie anche alla diversa istintualità sessuale dei maschi e delle femmine, e nei momenti di crisi sociale e culturale, prima ancora che economica, come quello in cui siamo ora immersi, l’esplosione dei contrasti serve soprattutto a negare l’origine del problema, che è inerente la psicopatologia del potere che crea divisione e competizione.
Il caos si rileva, più che nello spulciare statistiche e dati criminologici, nei rapporti disastrosi, dove l’amore è possesso e coperta narcisistica, che tutti osserviamo tra maschi e femmine, nella confusione e nella rigidità dei ruoli, nella sconfitta definitiva della genitorialità. Armonia non significa quindi convergenza, esiste il maschile, che allunga lo sguardo sull’orizzonte, che definisce l’etica, che toglie il bambino dal confortevole seno materno per portarlo tra le insidie del mondo. E c’è il femminile, che accoglie e rassicura, che indulge nel perdono, che è in contatto con l’essenza della vita, essendo pura armonia del luogo dell’incontro. Il maschile e il femminile non appartengono di diritto a nessuno e non si identificano necessariamente con il sesso, sono condizioni da raggiungere con la giusta esperienza di vita evolutiva, e quando il processo si arresta si creano modelli stereotipati di maschi e femmine incompiuti.
Nella tragedia de ruoli prefissati dalle regole dell’economia del consumo, la fantasia, l’arte e la catarsi simbolica del mito, che sono le sorgenti da cui trarre i significati dell’esistenza, si arrendono al valore delle merci e alla banalità rassicurante della scienza, identificando i maschi e le femmine come prodotti da smaltire nel grande mercato che è diventato il nostro esistere. Qui si realizza il conflitto ponendo l’altro come bersaglio, femmine contro maschi che cercano soddisfazione all’angoscia della mancata realizzazione dell’incontro. Azzannandosi l’uno contro l’altro, lasciando liberi i veri responsabili, i detentori del potere, come nel più classico schema di reazione ad una sottomissione autoritaria.
Se ci sentiamo rabbiosi con l’altro sesso forse possiamo fermare il combattimento cercando di recuperare, attraverso la relazione empatica con l’altro e con la nostra profonda intimità, quella parte di maschile e femminile che abbiamo perso o che non abbiamo ancora raggiunto, per combattere insieme chi con avidità e sete di potere sta uccidendo la vita.