LIBERA NOS A MALO

Libera nos a maloQuando si teme di essere soggetti ad una forte e malevola dipendenza, quello che spesso ci si augura è di non cadere in tentazione. Si spera di poter disperdere gli stimoli pericolosi che possono condizionare il nostro fragile equilibrio.

Quando il demone si ripresenta ricandidandosi alla guida della nostra salvezza, i deboli concentrano su di lui la loro attenzione, invece di considerare che è proprio la dipendenza dal male il vero problema.

Un individuo, una società, che cerca di allontanare il peccato invece di affrontarlo nel suo intimo conflitto, ha una pessima qualità umana e tende ad infrangersi contro ogni forma di progresso evolutivo, andando incontro alla propria dissoluzione.

La qualità umana è fatta di attenzione verso i propri naturali bisogni, di coerente rapporto con il proprio ambiente sociale e naturale, di equilibrio psichico che consiste nell’elaborazione efficace dei conflitti, nella gestione delle pulsioni distruttive che affollano il nostro inconscio individuale e collettivo.

Il male induce sempre in tentazione perché è parte della nostra condizione umana, è il concentrato delle nostre sofferenze che tentano di liberarsi vomitando veleno nel mondo. E’ quindi l’attenzione verso il dolore, non la sua negazione, che ci può riportare ad un equilibrio di maggiore qualità dove le tentazioni del maligno possano risultare meno influenti.

E siamo carichi di dolore incombusto, ciechi e sordi verso le nostre ed altrui sofferenze ci siamo allontanati dalla natura della condizione umana tentando di schivarne il tormento. Raccolti nei nostri miserabili egoismi coltiviamo l’indifferenza come forma di relazione, diventando forti con i deboli e pusillanimi con i potenti.

Siamo diventati pessimi genitori che scaricano frustrazioni sui figli, possessivi e violenti amanti, incapaci di qualsiasi responsabilità ed ottusi nei confronti della comprensione di quello che ci accade.

La metamorfosi del dolore in sete di potere e danaro, attraverso il processo psichico dell’idealizzazione del sé, che nel delirio d’onnipotenza contrasta il lacerante sentimento di svalutazione, ci rende sempre più simili al nostro tetro antagonista.

Temiamo il ritorno di Belzebù perché non vogliamo vedere in lui quanto di simile c’è in noi, per non sentirci complici della sua idea del mondo che profondamente ci appartiene. Siamo uguali alla nostra ombra, carichi di disprezzo verso gli ultimi sempre più sfruttati, costretti dalle nostre colpe mai recuperate a far le comparse sacrificali nello psicodramma della nostra ammalata esistenza.

Sempre più vittime del potere, verso il quale abbiamo perso ogni capacità di contrasto, ci consoliamo con pie processioni nelle cattedrali del consumo, ci appassioniamo per i duelli televisivi tra il nulla e l’insignificante, felici e soddisfatti di aver trovato nel vacuo metaforista, o nel depresso giullare, il Don Chisciotte che dovrà sconfiggere il piccolo diavolo.


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