PSICOLOGIA IN CUCINA

cibo e psicologiaHo imparato che la psicologia è dappertutto, anche nel mio posto preferito – in cucina.
A volte fantastico di poter utilizzare per la mia professione, invece del classico studio, la cucina. Così potrei osservare e capire subito tante cose. Mi immagino, per esempio, una coppia con problemi di relazione – gli farei preparare una cena insieme, ed io, osservando le loro dinamiche, potrei tranquillamente cogliere tante informazioni su di loro ed intervenire adeguatamente.

Potrei capire la relazione dei miei pazienti col cibo – quindi con la realtà quotidiana, il loro modo di lavorare e di pianificare, la loro fantasia, creatività, pazienza, senso dell’umorismo, capacità di fare compromessi, di decidere. La tendenza nel cercare nuove cose o di essere conservatori, di sognare, di immaginare. Tutto ciò che si realizza nella relazione terapica lo potrei capire con un metodo diverso dalle classiche parole e la “Psicologia in cucina” potrebbe diventare un altro tipo di arte terapia. Secondo me questo potrebbe essere un approccio con delle grandi possibilità!

La psiche nella cucina presenta anche i suoi lati oscuri e le sue ombre. Un professore di criminologia all’università diceva che il più grande numero di omicidi in casa accadono in cucina. Poi aggiungeva: “Vi consiglio di non litigare mai in cucina – quel posto, tra lame e coltelli, offre un grande pericolo!”.

Le ombre in cucina le vedo anche quando rifletto sulle madri per le quali la preparazione del cibo rimane il solo modo per esprimere affetto. Oppure per le persone che soffrono di disturbi del comportamento alimentare e che usano il cibo per avere contatto con la realtà, esprimendo così la loro sofferenza, ribellione, rabbia, disperazione, richiesta d’aiuto.

Quando penso alla psicologia in cucina mi viene in mente anche l’aspetto sociale del cibo che in ogni nazione prende forma diversa. Le lunghe cene degli italiani o dei francesi, i pranzi della domenica da noi in Slovacchia. Forse con questo ha a che fare anche l’effetto ansiolitico del cibo – avete presente come ci si calma dopo aver mangiato?

Allargando il contesto sociale arriviamo alla cultura. Mi ha sempre affascinato l’etnologia e le differenze culturali, guardiamole ora dalla prospettiva della “Psicologia in cucina”.
Ogni lingua rappresenta un’autonoma e originale organizzazione concettuale del mondo condizionata da fattori culturali e sociali, un esempio più chiaro è quello degli eschimesi che riescono a discriminare e nominare tanti tipi di bianco e di neve. In psicologia sociale è noto che analizzando i discorsi rispetto qualche oggetto in una cultura, possiamo capire che cosa rappresenta quell’oggetto per quella determinata cultura. Per esempio i proverbi offrono una visione della cultura storica di una nazione. Ho notato che ci sono molte differenze tra i detti slovacchi e quelli italiani, e che non tutti sono traducibili. Alcuni esistono solo in una lingua.

“Non si vive di solo pane” si dice sia in Slovacchia che in Italia. Anche “Il sazio non crede al digiuno” c’è in tutte e due paesi, forse perché questi proverbi hanno un lunga storia e provengono dal latino, come anche “In vino veritas”. C’è un altro gruppo dei proverbi che sono legati al cibo o al mangiare, ma in realtà indicano qualcosa di diverso. Il messaggio sulla “Speranza che è una buona prima colazione, ma è una pessima cena” esiste anche in slovacco, ma si dice: “la mattina è più saggia della sera”. Gli italiani per mettere le cose in ordine dicono “Pane al pane, vino al vino”, gli slovacchi invece “Non mischiano le pere e le mele”. Non vi sembra interessante che l’ordine si cerca di spiegare tramite il cibo in tutte e due nazioni?

Anche sull’alcol si dicono tante cose – esistono più variazioni per dire che si deve mangiare e bere poco per vivere una vita in buona salute e a lungo (“Chi beve vino prima della minestra saluta il medico dalla finestra” in italiano). I detti slovacchi rispetto l’alcol portano tanti significati, forse perché l’alcolismo ha una lunga storia nel nostro paese e le statistiche danno la Slovacchia ai primi posti in Europa per consumo di alcol, anche il numero dei dipendenti è spaventoso. La presenza dell’alcol viene descritta anche nell’arte slovacca, se ne canta nelle canzoni, se ne parla nei romanzi. Da una parte nell’atmosfera sociale si percepisce un grande problema, ma purtroppo dall’altra parte la dipendenza dal alcol viene accettata e vista come niente di strano. E quindi forse per questa situazione complessa nella lingua slovacca si trovano facilmente i detti come: “Chi vuole vivere a lungo, non può bere tanto”, oppure “L’alcol è la scopa per la gente” – che significa che distrugge le persone spazzandole via dalla vita.

Osservando le ricette italiane e slovacche ho potuto notare una grande differenza nella presentazione del cibo. Mentre le ricette italiane cominciano sempre con tutta la lunga storia del piatto, “Già gli antichi romani…”, le possibili combinazioni e le occasioni adeguate, “…accompagnata da verdure, ortaggi, legumi, come un piatto quotidiano oppure per una festa con gli amici…”, tutto scritto in un modo molto poetico e dettagliato, sottolineando l’attenzione nei momenti specifici della preparazione “…fino ad ottenere un colore dorato, non troppo scuro e non troppo chiaro…”, e tutto ciò fa venire subito l’acquolina in bocca come nel caso dei cani di Pavlov…

Le ricette slovacche invece sono brevi, “Prepariamo carne con verdura”, punto, contengono l’informazione che tutto si fa molto velocemente, che la preparazione è semplice, e che alcuni ingredienti si possono semplicemente sostituire con quello che c’è in casa, “Se non avete i peperoni, mettete le uova…”, e tutto ciò ci convince che anche se oggi non ci va di cucinare e che non abbiamo niente da mangiare a casa, comunque ci mettiamo di là e creiamo qualcosa per il marito e il bimbo che hanno sicuramente fame.

La cucina italiana è una delle più conosciute e buone cucine del mondo, ma dalla mia esperienza ci sono tanti italiani che stanno perdendo il rapporto con la buona cucina e con la preparazione del cibo. Questo accade soprattutto a causa dell’invasione di modelli culturali anglosassoni, peggiori anche nel cibo, del sempre più utilizzo del cibo spazzatura proposto dalla pubblicità, delle porcherie dei fast food che prendono sempre più spazio nella vita, e nei corpi in sovrappeso delle persone. Poi ci sono quelli, che esagerano – almeno così pensavo fino quando non ho scoperto che veramente esiste differenza nel gusto tra un gnocco fatto in casa – con il segno della forchetta – e tra quello comprato al supermercato e senza il segno…

Nell’immaginario stereotipato soprattutto maschile molte donne capiscono di emozioni, oroscopi, moda, io cerco di capire la cucina mettendola in relazione con l’altro importante interesse della mia vita, la psicologia. Per questo ho pensato di proporvi qui una nuova rubrica, “Psicologia in cucina” appunto, dove cercheremo di affrontare la cucina come un nuovo spazio collegato con la vita, con la psiche. A proposito, in slovacco si dice che anche l’amore deve passare tramite lo stomaco!


*INVIA UN COMMENTO VOCALE (Max 120 secondi). ---- Per registrare il commento vocale cliccare su Record, poi su Stop una volta terminata la registrazione. Infine cliccare su Save per inviare il contributo audio. (Inviando il contributo audio si autorizza alla sua pubblicazione.)

0

Sottoscrivi per ricevere aggiornamenti via email: