In un’epoca di sbandierata libertà sessuale – quantomeno sognata e rincorsa – e di totale assenza di pregiudizi per qualsivoglia pratica sessuale (per cui “se non lede nessuno, tutto è lecito”), sarebbe incoerente e moralista storcere la bocca in tema di assistenza sessuale alle persone diversamente abili. Eppure è così: molti parlano di prostituzione, molti di pratiche eticamente deplorevoli, altri di morbosità che creano forti imbarazzi. In realtà non è la nuova moda che arriva dall’altra parte del mondo o una parafilia, si tratta semplicemente di prendere coscienza e di dare il giusto risalto all’aspetto sessuale nella vita delle persone disabili. Nell’immaginario collettivo, forse inconsciamente, la persona con disabilità (sia essa fisica, cognitiva o sensoriale) viene considerata alla stregua di un bambino, avendo costante bisogno del supporto altrui nell’espletamento delle svariate pratiche quotidiane.
Non gli viene attribuito il diritto all’autodeterminazione e, spesso in buona fede, parenti ed operatori sociali si sostituiscono a lui, impedendogli di scegliere: di conseguenza, non essendo riconosciuto come adulto, si è portati a sottovalutarne le pulsioni sessuali che invece hanno molto risalto nella vita dei cosiddetti “normodotati”.
Un elemento non trascurabile nella gestione della sessualità di una persona disabile è la mancanza di intimità; nelle persone non autosufficienti, la dipendenza da una figura onnipresente che si prenda cura di tutte le loro esigenze inibisce la componente intima di cui l’esperienza sessuale, vissuta anche esclusivamente tramite la masturbazione, necessita. Credo sia un atto di civiltà riconoscere l’imprescindibilità di uno spazio in cui la persona possa esprimere la propria sessualità liberamente, e in questo caso, il modo più adeguato probabilmente implica l’aiuto di una/un terapista formata/o. Fermandosi ad una lettura superficiale, la figura dell’assistente sessuale potrebbe sovrapporsi a quella della prostituta, della persona pagata per erogare prestazioni di tipo sessuale.
L’assistenza sessuale presuppone, invece, una serie di attenzioni e premure nei confronti della persona che la prostituzione non contempla, prevedendo anche un approccio affettivo alle pulsioni di chi è impossibilitato a gestire la propria sessualità perché “imprigionato” in un corpo che non può controllare. Max Ulivieri, web designer e social media manager affetto da distrofia muscolare, si sta battendo per l’istituzione di questa figura professionale; sul sito www.lovegiver.it Ulivieri esplicita le caratteristiche dell’assistenza sessuale: “L’assistenza sessuale, presente da anni in molti paesi europei, è un intervento finalizzato al benessere psicofisico ed emotivo di persone in situazione di disabilità e di emarginazione affettiva e relazionale ed è realizzato da operatori in possesso di adeguata formazione. […] L’assistenza sessuale alla persona affetta da disabilità […] nasce per permettere di fruire di una pratica relativa al benessere psicofisico ed emotivo. Le pulsioni sessuali, costantemente represse, impedite e non educate nella loro manifestazione, sia autonoma sia relazionale, producono un costante e progressivo stress psicofisico con conseguenze, anche di rilievo, sulla salute.”.
L’assistente sessuale lavora in un team di specialisti: ha bisogno, infatti, del supporto di psicologi, sessuologi e medici per impostare adeguatamente l’intervento caso per caso, senza seguire un iter operativo rigido. Nella bozza di proposta presentata da Max Ulivieri non è previsto il rapporto completo, in quanto troppo invasivo per l’assistente sessuale, e la relazione è limitata a carezze, stimolazioni ed attenzioni. La formazione riguarda aspetti medici, giuridici, psicologici, sociali e sessuologici con un percorso formativo di 600 ore per acquisire l’abilitazione a terapista sessuale, la retribuzione prevista per questa mansione è volutamente bassa, in modo da escludere l’interessamento alla professione per scopro di lucro o prostituzione.
Questa preparazione consente di guidare le persone con disabilità nell’esplorazione della sessualità e nella presa di confidenza con il corpo, in modo tale da offrire una nuova percezione della propria fisicità: non più – o non solo – fonte di disagio e dolore, ma anche di piacere e benessere. In questo modo, la persona avrà gli “strumenti” per pensare, gestire ed incanalare le pulsioni sessuali ed affettive anche in ipotetiche relazioni future.
Quando due temi tabù si incontrano le difficoltà non sono poche. Né la sessualità, né la disabilità sono argomenti vagliabili al 100% senza imbarazzi o vincoli: della prima se ne parla spesso in modo inadeguato, della seconda se ne parla pochissimo. Forse ridurre il gap tra “abile” e ”diversamente abile”, laddove è possibile e legittimo, è un impegno che dovremmo prendere in considerazione.
*INVIA UN COMMENTO VOCALE (Max 120 secondi). ---- Per registrare il commento vocale cliccare su Record, poi su Stop una volta terminata la registrazione. Infine cliccare su Save per inviare il contributo audio. (Inviando il contributo audio si autorizza alla sua pubblicazione.)
0
Salve Debora, la ringrazio per l’articolo. vorrei solo aggiungere che il sito ufficiale adesso è: http://www.assistenzasessuale.it
Grazie.