PERCHÉ AMIAMO. AMORE E RICERCA DELLA FELICITA’

Perchè amiamo. Relazioni di coppia e ricerca della felicità.Perché amiamo? Questa è la domanda che tutti ci siamo posti ad un certo punto della nostra vita, o forse no, perché spesso l’amore scatena emozioni così travolgenti e incontrollabili che, se ci concediamo il lusso di viverlo pienamente, ci basta sapere che c’è e sperare che non finirà mai. Ha approfondito l’argomento lo psicoterapeuta e scrittore Nicola Ghezzani, nel suo saggio “Perché amiamo. Relazioni di coppia e ricerca della felicità” edito da Sonzogno nella collana “La scienza dell’amore”, diretta da Francesco Alberoni. L’autore rivendica il ruolo centrale che il sentimento amoroso occupa nell’esistenza umana, tramite l’analisi dei fattori e delle dinamiche che permettono di approcciare e vivere l’amore, ma anche di quelli per cui è precluso. Il libro ci fornisce un’occasione per istituire un pensiero critico laddove spesso siamo stati mossi solo dall’istinto e ci illustra una nuova teoria dell’amore di cui Ghezzani è autore.
Psicologia Radio lo ha intervistato a questo proposito.
Negli ultimi anni della sua produzione letteraria si è concentrato particolarmente sul tema dell’amore: da dove proviene questa scelta? E’ un suo interesse personale o le è stato “suggerito” dalle dinamiche riscontrate nella sua attività clinica?
L’una e l’altra cosa. Nei primi 10/15 anni della mia attività clinica mi sono concentrato soprattutto sulle tematiche dei disturbi d’ansia, di cui i primi 4 anni interamente dedicati alla psicosi, quindi alla malattia molto dura;  andando avanti nella mia attività clinica, e della vita naturalmente, mi sono reso conto che le patologie, sia quelle gravi che quelle più leggere, nascono da potentissimi impulsi conflittuali interni e anche relazionali ereditati dal passato o in atto. Per questo motivo, valeva la pena studiare accanto alla patologia (a cui mi ero ampiamente dedicato e di cui avevo enucleato l’aspetto conflittuale) anche la salute, l’amore inteso come correlato perfettamente sano e al massimo delle potenzialità umane rispetto al lato patologico che era centrato sull’individualismo e sulla conflittualità.
Per quanto riguarda il suo libro, ho trovato molto interessante il concetto di “complemento psichico” in relazione a quello di “individuazione duale”. Nella coppia l’altro diventa uno specchio in cui riflettere aspetti di sé profondi, favorendo il cambiamento e la crescita. E’ corretto dire che secondo questa concezione, la crescita, ed in senso lato la felicità, dipendono da un’altra persona?
Dipendono dall’Altro. L’Altro può non essere un’altra persona. E’ un concetto che ho introdotto di recente, in parte di eredità lacaniana: l’Altro inteso come un’entità umana, generica. Nella vita concreta lo vediamo sempre incarnato in una persona, per esempio il bambino se ha una madre sufficientemente buona, come dice Winnicott, ha una buona evoluzione. Ma anche l’ambiente sociale è l’Altro, la cultura è l’Altro, il sistema simbolico è l’Altro. Io per “individuazione”, concetto ovviamente junghiano, intendo la migliore razione che la soggettività può avere a contatto con un’alterità che sia in grado di far maturare le sue potenzialità. Quindi “l’individuazione duale” l’ho concettualizzata nell’ambito della coppia, ed è rappresentata dal buon rapporto che si può avere quando l’altro aggancia perfettamente aspetti profondi della nostra soggettività e consente loro di venire a maturazione.
Quanto detto si ricollega al caso di Teresa d’Avila, presente nel suo libro tra gli esempi d’amori che non giungono a progetto comune, innamorata di Dio: l’Altro può essere anche un’entità spirituale, un credo …
Esattamente, basta leggere i testi della mistica per rendersi conto che per i mistici Dio è l’Altro, è un “Tu” con cui instaurano una relazione immediata, profonda, sentita. Non si sa se è dentro o se è fuori, è transizionale. Questa alterità, qualora si stabilisca un rapporto ottimale con Dio, perché si può anche avere un rapporto ottimale con Dio per un mistico, consente la maturazione della propria identità. In questo senso la vita di molti mistici può essere intesa come una vita perfettamente individuale.
Invece all’interno della coppia, qual è il confine tra amore e dipendenza affettiva?
Questo è un tema importante, si è parlato moltissimo di dipendenza affettiva. Io penso che la dipendenza affettiva non sia propriamente un rapporto d’amore ma sia un rapporto sociale, può sembrare paradossale ma l’ho analizzato soprattutto in questo senso. In fondo la dipendente affettiva, parliamone al femminile perché di solito è così, ha paura di essere “licenziata”, di non valere abbastanza e quindi instaura un rapporto fallimentare continuo con sé stessa, con il problema della sua identità, della sua qualità umana e femminile, in sé o no accettabile e compatibile con l’universo maschile. Questo è più spiccatamente un rapporto sociale che non un rapporto d’amore: il rapporto d’amore è un rapporto a due nel quale, viceversa, non ci si pone il problema del proprio sé ma ci si pone quello della qualità dell’altro. Quando si ama, si ama l’altra persona. L’amore è uscire da sé e andare verso l’altro, individuare le caratteristiche positive della persona con cui ci si relaziona che poi di ritorno andranno ad arricchire anche l’altro, naturalmente. Ciò può produrre poi una sintonizzazione, una dinamica di coppia che può rendere migliore la persona, però fondamentalmente si è orientati alla specificità dell’altro. Nella dipendenza affettiva, invece, ci si orienta alla propria identità, c’è un nucleo narcisistico forte e ferito allo stesso tempo che viene costantemente messo in relazione ad un’alterità che diventa proiettiva e giudicante. Questa è la differenza fondamentale, ci si sente sempre giudicati nella dipendenza affettiva, nell’amore invece ci si dedica all’altro.
Nel libro fa un’analisi delle tipologie di coppie in crisi perché istituzionali, più concentrate sul dovere che sull’amore. Crede che al giorno d’oggi queste coppie siano in aumento rispetto al passato? Se sì, per quale motivo?
La tipologia del dovere riguarda soprattutto le vecchie generazioni, non quelle di oggi. Oggi sono altre le coppie in crisi, quelle giocate soprattutto sulla volubilità, sulla conflittualità. Il dovere attiene a quelle coppie che poi costruiscono famiglie, il cui fine principale è proprio quello di andare verso la costruzione di entità sociali esterne alla coppia. Nel tempo, una coppia interamente incentrata sul dovere può essere parassitata, al punto tale che la patologia più tipica di questo tipo di coppia è l’estraneità reciproca. Le persone stanno insieme in quanto sono associate in un’impresa comune, ma non si conoscono davvero e, non conoscendosi, neanche si amano. Per cui accade che bisogni profondi dell’uno o dell’altro debordino dalla coppia perché non accolti e sfociano in depressioni blande o in relazioni parallele nella speranza di trovare fuori ciò che non hanno trovato all’interno della coppia.
Invece la libertà che ruolo ha all’interno dell’amore?
E’ fondamentale! E’ la differenza che dicevamo prima tra amore e dipendenza affettiva, cioè se si ama una persona si ama la sua libertà di amare. Se amo una donna, questa donna deve essere completamente rispettata, devo sentirla di valore, pregevole, bella, affascinante e libera nel suo essere, se di ritorno mi ama (nella fase dell’innamoramento) sono sicuro che il giudizio che ha di me è totalmente libero, non vincolato a nessuna forma di ricatto e di potere che io possa aver esercitato. Nel caso della dipendenza affettiva, accade l’esatto contrario. Le persone dipendenti sono fondamentalmente incentrate sulla ricerca di sicurezza personale, vogliono un giudizio positivo a tutti i costi, possono mettere in atto qualunque dinamica anche sottilmente o specificatamente coercitiva per ottenerlo, quindi la lusinga, la sottomissione, la prepotenza e così via.
Perché l’amore fa paura?
Fa paura perché mette in luce gli aspetti inconsci non risolti della propria e dell’altrui personalità, quindi il potenziale esclusivo è un potenziale in un certo senso rivoluzionario, se l’amore è vissuto con intensità e trasparenza. Quando amo una persona, amo anche i suoi aspetti irrisolti e vorrei che li risolvesse, quindi entro all’interno della persona con un potenziale di trasformazione. Lo stesso vale reciprocamente: se sento che quella persona si avvicina a me con amore, sono portato a tirar fuori tutti gli aspetti rimossi, non vissuti, anche l’infelicità perché so che all’interno della coppia verranno legittimate e a quel punto prendo coscienza del mio inconscio. Tutto ciò fa molta paura perché prendiamo coscienza di ciò che precedentemente avevamo occultato.
Di tutti gli aspetti critici dell’amore analizzati nel libro, qual è quello che ha incontrato di più nella sua esperienza clinica? Proprio la paura?
Le tipologie maggiori sono due: una è quella della routine, della noia. Quando le coppie sono incentrate sul dovere sociale, parentale (questo aspetto è soprattutto tipico di una generazione fa) prima o poi scadono nella noia e o vanno incontro a piccole depressioni o devono trasgredire. L’altra situazione di crisi riguarda persone single che hanno anche 50 anni, ma è una condizione che sta raggiungendo pian piano anche i giovanissimi, ed è più frequente oggi: “l’autarchia sentimentale”, cioè la paura tremenda di legarsi perché ciò significa essere sfruttati dal legame stesso, non dalla persona. Sentirsi nella condizione di dover assolvere a dei compiti, esporsi, farsi conoscere fa paura a queste persone che hanno un’autostima fragilissima: introducono nei rapporti, di conseguenza, elementi prima seduttivi, poi consumatori e poi di conflitto e, da un primo momento di infatuazione, la storia può avviarsi, avere una certa durata e arrivare al conflitto per poi concludersi. C’è un’ultima tipologia, più insidiosa, che non riguarda la coppia, che possiamo definire “anoressia sentimentale”, l’asessualità giovanile, che riguarda ragazzi giovanissimi che neanche si cimentano nel sessuale per non dover mettere in gioco un’autostima estremamente fragile.
A chi è rivolto il suo libro? C’è un pubblico particolare a cui pensava mentre lo scriveva?
Sì, l’ho pensato per un pubblico non prettamente giovanissimo, non di ragazzini. E’ per persone semi-mature tra i 25/28 e i 50/60 anni che affrontano realmente la complessità della relazione sentimentale, che vogliono conoscere i motivi per cui la loro vita non è soddisfacente dal punto di vista sentimentale e vogliono scoprire la ricchezza potenziale della vita di coppia, soprattutto in un’epoca in cui di ricchezze in genere ne vengono a mancare sempre di più. Non ci sono più la spinta sociale e l’ambizione, ma c’è sempre di più il carrierismo e la sete di denaro proprio perché la crisi ha cambiato completamente i valori; io penso che la riscoperta della forza dei legami, soprattutto in persone che iniziano a maturare, potrebbe essere importantissima per la loro vita. In parte è un libro anche per tecnici, ma è soprattutto un libro che si rivolge genericamente a tutti.
Vuole mettere in risalto qualche aspetto del libro di cui non abbiamo parlato e che reputa importante?
Vorrei aggiungere qualcosa rispetto all’aspetto tecnico, perché poi passa l’idea che sia un libro esclusivamente divulgativo e non lo è, è anche un libro tecnico che, insieme ai precedenti, è orientato alla creazione di una nuova teoria. Ho agganciato una teoria che ritengo fondamentale ma che è sconosciuta, che è quella della neotenia del biologo evoluzionista olandese Louis Bolk per cui l’essere umano nasce immaturo e resta “feto” per tutta la vita perché è sempre condannato o gratificato a vivere dentro i legami, a differenza delle altre specie animali che non hanno un bisogno così stringente del proprio simile. Quindi la mia teoria dell’amore nasce da una consapevolezza dell’evoluzionismo, di quella che è la caratteristica centrale della specie umana, la relazione, molto più forte che in qualunque altra specie. E il motivo per cui ho agganciato la teoria dei neuroni-specchio di Rizzolatti, altra teoria rivoluzionaria che non è stata forse pienamente compresa dagli psicologi, è che ci dà l’opportunità di capire che dobbiamo studiare le relazioni perché sono l’ambito della maturazione umana e soprattutto della sofferenza umana. Quindi, anche se formalmente può sembrare divulgativo, il mio è un libro anche orientato alla riflessione, alla ricerca in campo psicologico.


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