Tonino ha quindici anni e a pallone gioca da dio. Gioca su un campetto tutto polvere e reti strappate in una qualsiasi periferia di Napoli. Ma quando ha la palla tra i piedi gli pare di stare al San Paolo e le voci degli spalti gremiti gli urlano addoso “curre curre guaglió, facce sugnà”.Tonino quando la sera torna casa avverte un’ombra che lo segue. Ogni tanto si volta e la vede, enorme e purulenta, la grande carogna.
La grande carogna veste sul suo corpo tumefatto e putrido magliette con la scritta “Mercato libero”, o “Sfruttamento libero”, “Arricchimento libero”. Ha la faccia che prende il profilo di volta in volta di vari personaggi, dagli idoli del calcio che non abbuffati abbastanza dei loro milioni si vendono vigliacchi alla pubblicità, finanche a quella del gioco d’azzardo. E di altri avidi afflitti dalla sindrome da accaparramento cronico e compulsivo come cantanti, attori, personaggi della televisione, banchieri, manager, imprenditori e politicanti, medici collusi le industrie del farmaco e psicomarchettari, quest’ultimi addirittura messi al governo della psicologia.
La grande carogna ha la faccia dei boss della camorra, della nuova aristocrazia dei ricchi che sta affamando il popolo inventandosi una crisi come catastrofe naturale e che è invece il risultato della loro avidità criminale, dello scrittore che dopo aver associato finalmente mafia e capitalismo si è venduto a quest’ultimo e gira scortato per non essere ammazzato da qualche truce sicario o dalla sua coscienza.
Tonino ha quindici anni e sognava di diventare un dio. Un dio del calcio come quelli che vede ogni tanto allo stadio e più spesso alla televisione, quelli che si modellano i capelli da finti guerrieri o che si autotrapiantano patetici scalpi, quelli che hanno belle macchine sempre più potenti accessoriate di belle donne sempre più stupide, osannati dalle folle che a loro svendono felicità, dignità e futuro.
Folle di disperati, ignoranti e fascisti come spesso sono ridotti i disperati, a cui la grande carogna da in pasto vana speranza di rivalsa fatta di fanatismo sportivo, che urlano sugli spalti ogni domenica gli stessi insulti razzisti, che si prendono a botte creandosi nemici di tifo o cercando il nemico comune in quelli in divisa. Cumuli di rabbia che si spandono nelle arene del calcio dove la grande carogna permette il libero sfogo, così può continuarli a sfruttare senza che si rivoltino contro i loro veri aguzzini.
Quando Tonino si volta la grande carogna si traveste da giovani, quelli finti, figli della codardia dei padri, vuoti di conformismo la cui rivoluzione è un tatuaggio sul culo e che vagano rimbecilliti tra i social network e i talent show, da giornalisti che vendono pubblicità mascherata da informazione, dei vari capipopolo che aizzano fanatici idioti con la foga della rabbia da senso di colpa e dell’insulso giovanilismo.
Tonino guarda la grande carogna e capisce che è lei dalla quale deve scappare, che questa enorme carogna fa più paura del pupazzo che seduto sulle inferriate dello stadio arringa masse informi e stupide di tifosi e non meno stupidi poteri istituzionali. Tonino probabilmente non diventerà un idolo del calcio, ma sa che adesso, se vuole salvarsi e salvare la sua gente, deve correre verso la libertà, quella vera, quella della rivolta contro il potere delle mafie di tutti i ricchi, lontano dal fetore della grande carogna. “Curre curre guaglió…”
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