“E’ arrivato il momento di ricominciare. Sono venuto qui a testimoniare la volontà di rilanciare le relazioni bilaterali e provare a favorire un pieno reinserimento dell’Eritrea quale attore responsabile e fondamentale della comunità internazionale nelle dinamiche di stabilizzazione regionale”: è quanto ha dichiarato il vice ministro agli esteri Lapo Pistelli durante la sua recente visita ad Asmara al dittatore eritreo Isaias Afewerki. Tre i motivi posti alla base della sua iniziativa: riportare stabilità e “normalità” in un’area, il Corno d’Africa, sconvolta da tensioni, conflitti, rivolte, guerre civili, carestia; bloccare la fuga di centinaia di migliaia di profughi che cercano di salvarsi da questo disastro; gettare le basi per nuove occasioni di sviluppo: “L’Unione Europea – ha specificato in particolare Pistelli al quotidiano L’Avvenire – deve creare in Africa 500 milioni di posti di lavoro con l’agricoltura sostenibile e l’energia”.
“Ricominciare”, dunque. Anzi, nell’intervista rilasciata all’Avvenire il viceministro è stato ancora più categorico: “Dialogare con l’Eritrea – ha ammonito – è obbligatorio…”. Già, ma “ricominciare” e “dialogare” con chi? In realtà ci sono due Eritree: quella del dittatore Isaias Afewerki e l’altra, quella della gente. La gente della diaspora, le migliaia e migliaia di fuoriusciti ed esuli, e la gente che è segregata in un paese-prigione. Allora, si tratta di scegliere: con quale Eritrea “ricominciare”? Tutto dipende da questa scelta.
La prima strada, la più diretta e facile, è quella imboccata dal viceministro Pistelli: dialogare con Afewerki. Questo significa, però, legittimare la dittatura e ridare forza proprio a chi ha portato il paese allo sfacelo: “ricominciare”, cioè, con la causa prima e diretta dei problemi che si vorrebbero risolvere in Eritrea e con uno dei fattori più evidenti della dolorosa instabilità che travolge l’intero Corno d’Africa. Per di più, se si percorre questa via, come ha iniziato a fare l’Italia, bisogna tenere conto di almeno quattro enormi problemi.
Il primo, fondamentale per qualsiasi principio democratico, è che Afewerki è odiato o quanto meno mal sopportato dalla maggioranza della popolazione eritrea. Gli altri tre non sono meno importanti. La Chiesa cattolica nazionale, quasi a dar voce alla disperazione della gente, ha segnalato la situazione creata dal regime attraverso la lettera pastorale firmata da tutti i suoi vescovi in occasione dell’ultima Pasqua. Una denuncia che ha ricevuto proprio in questi giorni il totale sostegno del Consiglio Mondiale delle Chiese, con una risoluzione della Commissione Centrale riunita a Ginevra all’inizio di luglio. Ancora, terzo punto, la dittatura di Asmara è stata sfiduciata ed isolata ormai da anni da tutte le democrazie e anche dagli altri stati della regione. In una parola, dall’intera comunità internazionale. In particolare, l’Autorità intergovernativa per lo sviluppo (Igad nella sigla in inglese), formata dagli stati del Corno d’Africa, la accusa apertamente di sostenere e armare i ribelli dell’Ogaden e i gruppi fondamentalisti di Al Shabaab in Somalia. L’Onu conferma sostanzialmente questa denuncia ed ha istituito una commissione di inchiesta sulle violazioni dei diritti umani nel paese. La Svezia, stato membro dell’Unione Europea al pari dell’Italia, infine, proprio in queste settimane ha inserito Afewerki e alcuni suoi ministri in testa alla lista di personaggi perseguibili per crimini contro l’umanità, in base a una nuova legge che consente a Stoccolma di aprire procedimenti giudiziari per questo genere di reati ovunque e contro chiunque si siano verificati.
Per dare corso all’apertura di credito manifestata da Pistelli nei confronti di Afewerki, allora, appare chiaro che si dovrebbero in qualche modo eliminare questi quattro pesantissimi ostacoli. E’ possibile? La risposta non può che essere negativa, a meno di non volersi tappare occhi, bocca e orecchi. E’ eloquente, del resto, quanto hanno detto le organizzazioni della diaspora all’indomani del viaggio del vice ministro ad Asmara: “Nel momento in cui i democratici eritrei sono in lotta contro la feroce dittatura che, violando ogni diritto umano e politico, insanguina il suo Paese e costringe il suo popolo alla fuga e alla morte; nel momento in cui un cerchio di solidarietà si va consolidando contro il regime della tortura e dello schiavismo; nel momento in cui l’isolamento politico e diplomatico di quella dittatura risulta la sola strada percorribile per ostacolare le violenze del dittatore e dei suoi accoliti, la notizia di questa sorta di apertura di credito da parte dell’Italia arriva come una doccia fredda…”. Non solo. Il viceministro mostra di ignorare che le cause della interruzione dei “colloqui” tra Italia ed Eritrea non nascono, come dice, dai trascorsi coloniali fascisti ma dal massacro dei diritti umani perpetrato dal regime. La diaspora non manca di ricordarglielo: “Ciò che sorprende di più – denuncia – è il silenzio di Pistelli e del ministero degli Esteri sulle vere ragioni umanitarie per le quali dal 1997 nessun rappresentante politico italiano si è più recato in Eritrea. Il raffreddamento delle relazioni politiche tra Roma ed Asmara non è dipeso ‘dalle recriminazioni storiche che ormai attengono, appunto, alla dimensione storica’, come afferma Pistelli nelle sue dichiarazioni: non dalla memoria di un colonialismo pur feroce terminato nel 1941, ma dalle violazioni continue di ogni diritto umano e politico che in Eritrea si compiono a danno della sua popolazione, costretta di conseguenza alla fuga dal paese”.
La realtà è che per quel “ricominciare” invocato da Pistelli occorre una pacificazione nazionale. Ma la pacificazione non può che partire dall’abbattimento della dittatura e dall’analisi di quanto è accaduto negli ultimi venti anni in Eritrea, con tutto quello che ne consegue: portare alla luce e denunciare le responsabilità individuali, istituzionali e politiche; punire almeno simbolicamente i colpevoli e comunque allontanarli dai posti di potere con una efficace epurazione; consentire il rientro della diaspora. Tutto ciò è impossibile con Afewerki al governo. Non resta, allora, che la seconda ipotesi: dialogare e ricominciare con “l’altra Eritrea”, quella dei fuoriusciti, degli esuli, dei perseguitati. Della gente. Non è una via facile neanche questa. Per due motivi: le divisioni che finora hanno impedito di costituire un Comitato di liberazione ufficiale e, di contro, la “forza” che ancora può vantare il regime.
Quanto alle “divisioni”, sicuramente ce ne sono ancora, ma appaiono in via di superamento. Può risultare decisiva, in questo senso, la recente presa di posizione della Chiesa cattolica: la lettera dei vescovi, nella quale si sono riconosciute gran parte delle forze di opposizione, sta diventando un punto di riferimento fondamentale. Potrebbe esserlo, anzi, anche per le cancellerie europee, offrendo quell’interlocutore “credibile” che la diplomazia occidentale ha detto finora di non aver trovato, come “alternativa” al regime. Regime – ed è il secondo punto della questione – che è in realtà molto meno saldo di quanto vuole apparire. Anzi, Afewerki probabilmente si mostra disponibile al colloquio aperto da Pistelli proprio perché sente che il suo potere sta franando. Nel paese si sono creati, infatti, diversi potentati autonomi, il cui unico collante è la conservazione e la spartizione del potere. Tra questi potentati, di primo piano è quello che sfrutta una fetta del traffico di esseri umani, fino al confine con l’Etiopia o con il Sudan: quel traffico di esseri umani che l’Italia dice di voler bloccare.
C’è, infine, un altro fattore da non sottovalutare nel momento in cui si decide di scegliere l’Eritrea di Afewerki piuttosto che quella della diaspora: la credibilità dell’Italia e dell’Europa di fronte al mondo. Il disastro, le decine di situazioni di crisi che stanno vivendo l’Africa e in generale il Sud del pianeta, dipendono in gran parte dalla fiducia e dalla protezione concesse dai governi occidentali ai vari “dittatori di turno”, calpestando libertà e diritti, in nome della realpolitik e di mega interessi economici spesso inconfessabili. Per trovare una soluzione percorribile occorre una inversione di rotta di 180 gradi, in modo da cominciare ad ascoltare la voce dei popoli invece di quella dei “colonnelli” che fanno comodo alle strategie di sottomissione di stampo coloniale attuate dai “potenti della terra” nei confronti dei paesi poveri ma ricchi di risorse o di grande importanza strategica: quei “colonnelli” così funzionali all’egemonia globale basata sullo sfruttamento degli “ultimi”.
Ecco, la scelta di dare fiducia e credibilità ad Afewerki va esattamente nella direzione opposta al cambiamento invocato. Non risolve i problemi ed elimina anzi ogni residua fiducia nell’azione dell’Italia e della stessa Europa. L’Eritrea di Afewerki è destinata prima o poi ad essere spazzata via da quella della diaspora, quella che si batte per la libertà. C’è da chiedersi, allora, quando ad Asmara avrà vinto la democrazia e si comincerà a costruire un paese nuovo, che cosa potrà mai dire l’Italia e come verrà considerata, se adesso si schiera con il dittatore, ignorando totalmente le voci della diaspora. Nel migliore dei casi verrà trattata con sospetto e freddezza. Perché i popoli sanno distinguere bene tra amici e nemici ed hanno la memoria lunga. Non a caso un vecchio detto popolare romano dice che a mettersi contro il popolo si finisce sempre per sbatterci il grugno.
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Sig. Drudi, lei è mai stato in Eritrea? E’ andato a verificare di persona? O anche lei, crede di essere diventato Salgari, scrittore che inventava delle storie fantastiche senza muoversi da casa? Ma cosa vi prende a voi giornalisti italiani, vi assale mai un piccolo dubbio sulla veridicità di quello che scrivete oppure l’importante è guadagnarsi la parcella? Contento lei… al suo posto mi vergognerei
No, non sono mai stato in Eritrea, anche perché dubito che potrei muovermi liberamente e senza vincoli. Però mi piace osservare e analizzare i fatti. E i fatti dicono
– Ogni anno dall’Eritrea scappano decine di migliaia di giovani, spesso anche a rischio della vita, e la stragrande maggioranza di loro ottengono dai paesi ai quali chiedono aiuto lo status di esule o di rifugiato o comunque una forma di protezione internazionale, perché si riconosce che sono stati costretti a fuggire dalle persecuzioni e dal tipo di vita imposto dal regime.
– Dal 2001 sono agli arresti 15 tra ministri e alti ufficiali militari, senza essere mai comparsi davanti a un giudice per conoscere almeno le accuse a loro carico e potersi difendere. E ci sono numerosissimi giornalisti, leader religiosi, obiettori di coscienza, politici, semplici cittadini praticamente scomparsi nel buio di una prigione, senza processo.
– L’Eritrea è stata isolata da quasi tutti gli stati democratici, che hanno interrotto i rapporti diplomatici contestando in particolare al regime la violazione sistematica dei diritti umani e la cancellazione di ogni forma di libertà.
– La Chiesa eritrea ha denunciato duramente l’attuale situazione del Paese con una coraggiosa lettera pastorale firmata da tutti i vescovi, diffusa in occasione dell’ultima Pasqua.
– Il Consiglio mondiale delle chiese, riunito a Ginevra, ha appoggiato in tutti i suoi punti il documento dei vescovi eritrei, protestando per la violazione dei diritti umani nel paese, la mancanza di libertà religiosa e, in particolare, l’arresto e la detenzione ai domiciliari (dal 2005) del patriarca Antonio. Altri movimenti religiosi, come i Testimoni di Geova e i Pentecostali, sono perseguitati e spesso arrestati: di recente è capitato a 6 aspiranti pastori della Chiesa Luterana ad Asmara, ma accade lo stesso con i musulmani, accusati di “terrorismo”.
– Il regime è accusato a livello internazionale di appoggiare e armare i gruppi fondamentalisti che operano nel Corno d’Africa
– Diverse, importanti fonti giornalistiche (dall’agenzia Reuters alla rete Aljazeera, ad esempio) hanno riferito di recente che la Svezia ha inserito in una lista di personaggi da perseguire per crimini contro l’umanità il presidente Isaias Afewerki e alcuni suoi ministri (citando reati come tortura, sequestro, arresti e detenzioni illegali, ecc.), mentre l’Onu ha istituito una commissione d’inchiesta sulla violazione dei diritti umani.
– Durante vari incontri pubblici con profughi eritrei che raccontavano la loro odissea, ho visto con i miei occhi diversi giovani cambiare di colpo atteggiamento e tremare di paura scorgendo in sala personaggi ritenuti vicini al regime, nel timore di delazioni e “spiate”. “Abbiamo paura di ritorsioni nei confronti dei nostri familiari rimasti a casa”, mi hanno infatti spiegato successivamente. Non a caso, del resto, questi ragazzi rifiutano ogni rapporto con l’ambasciata eritrea in Italia.
Mi fermo qui. Che cosa pensare: che si tratta di allucinazioni collettive o che è in atto una specie di “congiura mondiale” contro il governo eritreo? E, alla luce di tutto questo, chi deve vergognarsi?
Sig. Drudi, permette se Le chiedo il perche´ dell´attributo “dittatore” quando io ad esempio potrei pensare facendo analogia alla politica italiana degli ultimi decenni e pensare la stessa cosa del suo paese e dire a cosa sia servito il vostro essere democratici se alla fine della fiera siete un paese tra´ i piu´ corrotti dell´EU? Mi dispiace come dice il Sig. Sillas lei si chiami giornalista e che le prerogative del mestiere dicano bene altro nell´etica del giornalismo.
Le rispondero´ appena ho tempo al punto, intanto le dico solo una cosa per anticipare, ascoltare o leggere “media pilotati” o aljezira come citava lei non e´ assolutamente sinonimo di avere la verita´ assoluta come lei crede. A proposito la invito a leggere Michael Parenti, “Inventing Reality”, professore americano e Giornalista e come da´ il titolo al libro, i media inventano molto, realta´. Lui parla del suo paese naturalmente e parla dei tre grandi media che a sua detta sono campioni di invenzioni, si immagini un po´ il resto quindi, paesi piccoli, giornali piccoli, giornalisti piccoli ecc..
Mi piacerebbe sapere o meglio vedere cosa fareste voi persone se viveste in questo momento in Eritrea.Il nostro Presidente eritreo e’ un vero e proprio Dittatore.In passato ha sicuramente fatto cose buone e belle , ma ci ha messo poco per rovinare tutto.L Eritrea e’ un paese MERAVIGLIOSO salviamolo finche’ siamo in tempo.Noi che viviamo fuori dobbiamo essere la voce dei nostri fratelli che non hanno la possibilita’ di farlo, grazie all ‘ aiuto di voi giornalisti .