E’ passato sotto silenzio, da parte dei giornali interessati, il crudo rapporto di Mediobanca sull’editoria pubblicato qualche giorno fa. L’unico a parlare della disfatta delle vendite dei quotidiani italiani è stato il Fatto, il solo giornale a non seguire quel destino. Un destino che sembra condurre l’editoria italiana direttamente verso il baratro. Le cifre per quelle che sono state definite “le sette sorelle”, ovvero i sette gruppi editoriali più ricchi e influenti, (Rcs, Espresso, Mondadori, Monti Riffeser, Caltagirone, La Stampa, sole 24Ore) sono impietose. Cifre che per il quinquennio sotto esame, quello che va dal 2009 al primo semestre del 2014, parlano del 20-30 per cento di perdite sulle vendite. Tutti perdono ricavi, chi più chi meno: si va da un 40 per cento a un 20 per cento nel confronto con il 2009. In totale dal 2009 siamo a 1,8 miliardi di euro in meno. Ormai editare giornali equivale ad una perdita che nella maggior parte dei casi erode il capitale netto delle aziende. Praticamente un disastro: una debacle che pare inarrestabile e probabilmente lo sarà.
La “colpa” di questo disastro, come si ripete all’infinito, è della Rete, di Internet, della facilità con la quale si accede ai contenuti gratuiti attraverso i dispositivi vari, smartphone, tablet, collegati ai siti dei quotidiani o ai social network dispensatori di notizie mordi e fuggi. In parte questo è vero, ma non basta a spiegare questo calo pauroso o forse, più precisamente, il problema non è questo. D’accordo, la carta ha probabilmente gli anni contati (anche se ad esempio negli Stati Uniti stanno riscoprendola sotto forma di prodotti dedicati o spiccatamente “locali”) ma gran parte del calo si può ascrivere senz’altro alla perdita di qualità dell’informazione in generale in Italia, un declino di cui anche quotidiani e periodici fanno parte. E’ in gioco la credibilità di giornali e giornalisti quando non c’è più la volontà di raccontare la realtà, quando frettolosamente si descrive una crisi internazionale seguendo l’onda delle agenzie e delle veline Nato senza domandarsi niente di più, quando si scelgono le notizie in base alla loro “notiziabilità” (parola orribile e altrettanto orribile concetto), quando si bada più a prendere posizione (quella più comoda) su un problema, piuttosto che raccontare i fatti. Quando spesso, in una parola, la penna dei giornalisti è al servizio della politica e del potere tanto che con la politica e il potere si confonde, anche a livello locale, magari seguendo il presidente di Regione di turno attraverso inutili e costosi viaggi in giro per il mondo (tutto spesato, ovviamente).
I giornali e non solo, smettono di parlare alla testa delle persone preferendo parlare ai loro istinti più bassi e deteriori, smettono di raccontare la vita delle borgate e delle aree metropolitane ricordandosene solo quando i fatti diventano “notiziabili” e nemmeno allora li raccontano, preferendo mettere uno contro l’altro “razzisti” e “antirazzisti”, favorevoli o contrari, innocentisti e colpevolisti. Questa deriva non è un fatto nuovo e non riguarda solo la carta stampata. Nella frenetica ricerca dei lettori, invece di cercare di capire i fatti, di interpretarli, si preferisce inseguire (spesso manipolandole ad arte) notizie che fanno mercato, che riescono a vendere. Ma alla fine i lettori se ne accorgono e l’informazione perde di credibilità. E quindi, riguardo ai giornali, il lettore si chiede perchè dovrebbe acquistarli, se la stessa “notiziabilità”, la stessa “cortesia” verso politici e potenti le trova gratis su Internet. E’ evidente che se nella Rete (o in Tv) si trovano le stesse cose della carta stampata la perdita di mercato dei giornali è inevitabile.
Tra le cifre sciorinate dallo studio di Mediobanca, ci sono anche quelle che riguardano il costo del lavoro giornalistico, sempre più alto in rapporto alle copie diffuse. In Italia si assottiglia sempre di più il numero di giornali o riviste (cartacei o online) che ogni giornalista “diffonde”. Chi scrive lo fa verso un pubblico sempre più ristretto verso il quale comunica sempre meno. E nell’ansia di perdere lettori, i giornalisti stanno smettendo di raccontare loro la verità.
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