PROFUGHI VITTIME DI PIRATI E MAFIE

Profughi vittime di pirati e mafie

Le navi erano simili a motovedette militari. I profughi hanno pensato che stessero arrivando i soccorsi. Invece si trattava di pirati che li hanno spogliati di tutto, abbandonandoli poi in mare, tra la Turchia e la Grecia, dopo aver danneggiato irreparabilmente il loro battello. Solo per un caso fortuito non ci sono stati dei morti. E’ l’ultimo capitolo della tragedia dei profughi nel Mediterraneo. L’ha segnalato l’associazione Todo Cambia di Milano, raccogliendo la denuncia fatta da Nawal Syriahorra, un osservatorio che documenta giorno per giorno la situazione nelle acque dell’Egeo battute dalle barche dei migranti che dalle coste dell’Asia Minore cercano di raggiungere Kos e le altre isole del Dodecaneso oppure, più a nord, Chios e Lesbo, distanti poche miglia. Almeno tre gli episodi accertati, con testimonianze dirette delle vittime, immagini e riprese filmate “rubate” con i cellulari. Si sono verificati la settimana prima di Ferragosto.

La mattina del 10 – secondo quanto ha ricostruito Nawal Syriahorra – è stato assaltato un gommone con 27 persone a bordo, quasi tutte in fuga dalla Siria. Quando è stato lanciato l’Sos il battello era nella posizione di 37 gradi e 47 primi di latitudine nord e 27 gradi e 10 primi di longitudine est. In sostanza, tra le isole greche e la Turchia. Dopo non molto, dalla direzione della Grecia, è arrivata una nave, che i migranti hanno definito “di tipo militare”, ma senza insegne e con l’equipaggio quasi tutto mascherato con passamontagna. “Come dei commando”, hanno precisato i profughi. E, in effetti, hanno agito con tecnica da commando, quasi seguendo un piano prestabilito. Alcuni uomini sono balzati sul gommone, hanno tolto il motore fuoribordo e preso i serbatoi di benzina. Contemporaneamente i migranti sono stati fatti salire sulla nave, come si trattasse di un’operazione di salvataggio, ma anziché essere soccorsi sono stati allineati, costretti a spogliarsi e a consegnare tutto quello che avevano: denaro, documenti, eventuali oggetti preziosi. Pugni e percosse per chi cercava di resistere. Ad alcuni sono stati persino tagliati i vestiti con un coltello. Una delle prime preoccupazioni, poi, è stata quella di sequestrare o rendere inservibili i cellulari, ma c’è chi è riuscito a nascondere il suo apparecchio.

Prima di fuggire, l’atto che più desta allarme: i pirati hanno bucato il gommone, costringendo poi i migranti a salirvi di nuovo, mentre cominciava a sgonfiarsi e ad affondare. Quasi una condanna a morire annegati. Per fortuna, non molto tempo dopo è giunta sul posto una vedetta della Guardia Costiera turca, che ha preso a bordo i naufraghi: erano tutti ormai in acqua, stretti ai resti del loro battello oppure tenuti a galla da giubbotti di salvataggio. Se il soccorso fosse arrivato tardi, forse ora staremmo piangendo altri morti.

Due giorni prima, l’8 agosto, la mattina alle quattro, c’era stato un assalto analogo. Sempre contro un gommone, con decine di profughi per lo più siriani. Le modalità sono state le stesse, ma con una violenza ancora maggiore. La nave dei commando ha speronato il gommone e subito dopo un paio di uomini sono saltati a bordo per togliere il motore e i serbatoi. Tra i migranti si è scatenato il panico. Per vincerne la resistenza, sono stati sparati colpi in acqua, usati manganelli elettrici o distribuite bastonate alla rinfusa con manganelli tradizionali, ferendo uomini, donne, persino bambini. Poi gli assalitori hanno abbandonato alla deriva il gommone semi affondato, scomparendo verso la Grecia, mentre i profughi cercavano di aggrapparsi ai tubolari pneumatici che ancora reggevano. “Prima di partire – hanno raccontato alcuni dei naufraghi – da bordo ci hanno coperto di insulti: tornate, hanno urlato, dalla vostra amica Turchia, noi non vi vogliamo…”. Circa quattro ore più tardi, intorno alle otto, quei disperati sono stati avvistati e soccorsi dalla Marina turca.

Entrambi questi assalti sono stati documentati dalle vittime. In particolare quello del giorno 8. “E’ stato rilevato – segnala Nawal Syriahorra – il numero della nave dei commando ma soprattutto ci sono due eloquenti registrazioni: una audio, lunga otto minuti, in cui si sente quello che accadeva a bordo, e una audio-video, nella quale non si distinguono i volti degli assalitori, ma si vedono e si sentono alcune fasi dell’assalto e si scorge in particolare il viso di un ragazzino sanguinante, colpito più volte alla testa perché stava filmando la scena con il suo cellulare”.

Un terzo agguato è stato segnalato il giorno 11: la dinamica è la stessa dei primi due. “Il gommone, su cui erano diverse famiglie, imbarcava troppa acqua dopo che è stato danneggiato dagli aggressori ed ha cominciato a inabissarsi rapidamente. Gli uomini sono scesi in mare per alleggerirlo, ma non c’è stato nulla da fare”, dice Nawal Syriahorra. E aggiunge: “C’è da credere che nelle acque turche e greche si stiano compiendo dei crimini in base a un piano ben preciso. Chi ci sia dietro non è noto: i responsabili finora non sono stati identificati, ma si pensa che ad operare siano dei contractors”.

Uno dei filmati pubblicato da Nawal Syriahorra, che testimonia il respingimento-affondamento di un gommone carico di migranti, è stato rilanciato in Francia, il 14 agosto, da Liberation. Lo hanno girato due pescatori turchi accorsi in aiuto dei naufraghi, prendendo a bordo della loro barca donne e bambini, fino all’arrivo di un motoscafo militare dalla Turchia. Il colloquio registrato nel video tra i due pescatori è inquietante. “La nave greca non può entrare qui. Questa zona ci appartiene, queste sono le nostre acque territoriali”, dice il primo (secondo la traduzione di Euronews), ritenendo evidentemente che si tratti di una unità militare, altrimenti non parlerebbe di violazione delle acque territoriali. E il secondo rileva: “Hanno bucato il battello”.

Ci sono elementi in abbondanza per aprire quanto meno un’inchiesta. Certamente i responsabili di questi atti di pirateria sono uomini esperti e privi di scrupoli. Resta da capire da dove vengano. Non dovrebbe essere difficile scoprirlo: il tratto di mare in cui si sono verificati gli assalti non è vasto e la “base”, il porto a cui fa capo la “nave dei commando”, è probabile che si trovi in zona. Potrebbero rivelarsi preziosi gli indizi raccolti dalle vittime stesse, a cominciare dal numero-sigla della nave assalitrice. Di sicuro il bottino è considerevole: secondo i calcoli di Nawal Syriahorra, ogni battello assaltato e affondato ha reso dai 30 ai 50 mila dollari. Non è detto, tuttavia, che questi pirati agiscano solo per soldi: potrebbe essere anche una forma di rappresaglia contro gli sbarchi. Indurrebbe a crederlo, in particolare, il fatto che i gommoni sono stati sistematicamente sabotati e inabissati. E forse proprio questo è l’aspetto più preoccupante: si direbbe che sia in atto una specie di guerra segreta da parte di gruppi o organizzazioni tutte da scoprire. Se confermato, questo sospetto si aggiungerebbe a un altro elemento estremamente pericoloso: il controllo pressoché totale del traffico di esseri umani, in fuga dall’Africa e dal Medio Oriente, da parte di gruppi mafiosi e milizie fondamentaliste.

Il punto centrale – accusa l’associazione Todo Cambia – restano la confusione e la chiusura della politica migratoria europea. E’ un rilievo che acquista sempre più fondamento. Dall’inizio di gennaio ad oggi sono arrivati in Europa, via mare, quasi 250 mila profughi: è quanto emerge dal rapporto diffuso dall’Oim, l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, alla vigilia di Ferragosto. Una media di oltre mille sbarchi al giorno, attraverso le “porte” della Grecia e dell’Italia. Il ticket per la sola traversata del Mediterraneo, senza le spese del viaggio a terra, costa almeno mille euro, spesso 1.200 o 1.300 a testa. A tirare le somme, oltre un milione al giorno, per un esodo pieno di rischi, come dimostrano le migliaia di vittime: 2.300 secondo l’Oim ma ancora di più, quasi 2.580, secondo il Comitato Verità e Giustizia per i Nuovi Desaparecidos, che censisce, per quanto possibile, anche i tanti che perdono la vita prima dell’imbarco, nel duro cammino verso la costa sud del Mediterraneo.

Già, per i profughi quella verso l’Europa è sempre di più una strada lastricata di morti, soprusi, sofferenze. E di milioni. Milioni di euro regalati alle mafie dai muri innalzati dalla Fortezza Europa, che impediscono vie legali di immigrazione ma si rivelano impotenti a bloccare il flusso: lo rendono, semmai, più difficile, costoso, pericoloso. Lo prova, in particolare, ciò che accade lungo la via del Mediterraneo centrale, quella che interessa direttamente l’Italia per le migliaia di imbarchi in Libia di migranti in fuga dall’Africa: non ci sono dubbi che a gestire il traffico, a terra e in mare, siano clan mafiosi, in concorrenza o in combutta con milizie fondamentaliste delle varie fazioni nei paesi di transito e soprattutto nella stessa Libia. Lo hanno rivelato varie inchieste giornalistiche oltre che rapporti dei servizi di intelligence. Una ennesima conferma è arrivata dal racconto fatto nei giorni scorsi da un giovane eritreo che si fa chiamare Yousef, un ex trafficante “pentito” che ha ricostruito come è cambiata l’organizzazione del traffico negli ultimi anni, dopo che ne hanno assunto il controllo grossi gruppi malavitosi, attirati dall’enorme giro d’affari, basato su “ticket” che si aggirano ormai sui seimila dollari a persona, per arrivare dal Corno d’Africa o dall’Africa sub sahariana fino in Europa, passando prevalentemente dalla Libia ma di recente, sempre più spesso, anche dall’Egitto.

Lo stesso tipo di organizzazione si profila per la via del Mediterraneo orientale, dalla Turchia alla Grecia, più breve, facile e sicura rispetto alle centinaia di miglia da percorrere nel Canale di Sicilia ed esplosa quest’anno con ben 135 mila arrivi, nei primi sette mesi e mezzo, contro i 104 mila circa registrati in Italia. I trafficanti offrono un “viaggio rapido” che può durare da pochi giorni a qualche settimana, a seconda della provenienza, fino a una delle isole greche più vicine alla costa turca. In qualche caso, pagando di più, anche fino ad Atene. La tariffa varia in base al luogo di partenza. Dalla Siria o dai paesi vicini, come il Libano o la Turchia, per un passaggio in camion o in pullman fino alla spiaggia d’imbarco e la successiva traversata in mare, si pretendono almeno 2 mila euro a testa. Partendo dall’Afghanistan il costo minimo sale a più di 6 mila. Chi non è in grado di pagare queste cifre si arrangia da sé, muovendosi a piedi o con mezzi di fortuna, talvolta con bus pubblici. Dall’Afghanistan è un viaggio lunghissimo e difficile: passando dall’Iran fino alla Turchia, dura quasi sempre dei mesi. Ciascuno sceglie la sua rotta, magari affidandosi alle indicazioni di Google Maps. Una volta sulla costa dell’Asia Minore, poi, si tratta di organizzare la traversata. Qualcuno si rivolge agli scafisti, altri continuano il “fai da te” mettendosi in gruppo per acquistare un gommone o una vecchia barca. Un battello piccolo, in grado di portare al massimo 6, 7 persone, costa da 300 a mille euro. Il prezzo sale, ovviamente, per le barche o i gommoni più grandi. Si salpa di primo mattino o durante la notte, navigando a vista o, al massimo, con l’aiuto di un Gps.

Sono proprio traversate “autogestite”, probabilmente, quelle prese di mira nei tre assalti denunciati la settimana prima di Ferragosto, ultimo anello di una catena dell’orrore che nessuno sembra voler davvero spezzare. L’Unione Europea ha appena stanziato 7 miliardi per le politiche migratorie. Sono tanti soldi. In parte, centinaia di milioni, disponibili da subito. Ad analizzare il programma di spesa, però, si scopre che quasi il 55 per cento (3,8 miliardi) sono destinati alla sicurezza e alla difesa dei confini e soltanto il 45 per cento (3,2 miliardi) all’accoglienza. “E’ un passo avanti rispetto al passato, quando a sicurezza e difesa andava quasi il 75 per cento degli stanziamenti – afferma l’agenzia Habeshia di don Mosè Zerai – Ma ancora non basta. La mentalità alla base della politica europea è la stessa di sempre, dettata dalle nostre assurde paure anziché dai diritti e dalle esigenze dei migranti. Nonostante tutto la Fortezza Europa resta chiusa: si continuano ad alzare muri che non risolvono nulla ed anzi aggravano il problema, come dimostrano le tragedie di questi giorni. L’unica vera soluzione è organizzare vie di immigrazione legali, canali umanitari speciali per le situazioni più gravi e a rischio e un unico sistema europeo di accoglienza, attuato e condiviso da tutti gli Stati membri dell’Unione. Solo così si potranno sconfiggere le mafie che gestiscono il traffico di esseri umani o le tante bande che approfittano della disperazione di queste migliaia di profughi abbandonati a se stessi. E solo così si potrà porre fine alla strage in corso da anni”.


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