“Sono impegnato a stabilire un rapporto molto forte con l’Egitto, che è strategico per contrastare l’Isis ed è un hub economico fondamentale. Questo lo confermo, ma dico con più forza che proprio perché siamo amici pretendiamo soltanto la verità anche quando fa male”: lo ha detto Matteo Renzi, all’assemblea del Pd di domenica 21 febbraio, a proposito del massacro di Giulio Regeni al Cairo, sostenendo che l’Italia pretende responsabili veri, con nome e cognome.
In sostanza, per quanto riguarda i rapporti con l’Egitto, non c’è stato un solo passo indietro rispetto alle dichiarazioni fatte un anno fa, quando lo stesso Renzi – come riferisce Il Fatto Quotidiano – ha definito Al Sisi, il dittatore egiziano in visita a Roma, “un grande statista”, attribuendogli addirittura il merito di aver “ricostruito il Mediterraneo” e insistendo che “la sua guerra è la nostra guerra e la sua stabilità la nostra stabilità”. Eppure, se davvero l’Italia vuole la verità, “con nomi e cognomi” sui colpevoli della morte terribile del giovane ricercatore friulano, la responsabilità, dal punto di vista politico e morale, appare già evidente: Giulio Regeni è rimasto vittima del sistema di terrore e persecuzione che Al Sisi, come e più di Mubarak prima di lui, ha instaurato in Egitto. Un sistema che soffoca nel sangue e con la galera ogni forma e perfino ogni sospetto di dissenso.
Provano il buio profondo in cui Al Sisi ha precipitato il paese, le migliaia di condanne a morte, all’ergastolo o a lunghe pene detentive; l’uccisione sistematica degli oppositori, a partire dagli oltre mille manifestanti massacrati dalla polizia in un sol giorno, il 14 agosto 2013, durante una marcia di protesta; i 41 mila arresti tra militanti del movimento dei Fratelli Musulmani e dei partiti laici protagonisti della rivolta di piazza Tahrir. O, ancora, gli omicidi mirati e le persone fatte sparire nel nulla: oltre 1.700 scomparsi nel 2015, secondo la denuncia della Commissione egiziana per i diritti umani, ripresa pochi giorni fa in un documento presentato a Bruxelles da Barbara Spinelli, Marie Christine Vergiat ed altri 43 parlamentari europei. Per non dire degli stupri subiti dalle donne arrestate e della pratica sistematica della tortura: uno studio legale cairota ne ha scoperto almeno 465 casi, 129 dei quali si sono conclusi con la morte delle vittime, proprio come è accaduto a Giulio Regeni. E di tutto questo non si può neanche parlare: i giornali, in base a una nuova legge, sono costretti a riportare come “verità” solo la versione fornita dalla polizia e dalle altre istituzioni statali: chi non rispetta la “consegna” rischia di sparire in carcere.
Ecco, tutto questo ha prodotto il regime di quell’Al Sisi che in Italia è stato accolto come “un grande statista” e nei cui confronti Renzi ha ora ribadito l’amicizia, presentandolo in sostanza come una “diga” contro il terrorismo dello Stato Islamico. Ma questa presunta “diga” è costruita con il sangue e i corpi martoriati di centinaia di oppositori e l’oppressione feroce di milioni di egiziani. Allora, altroché diga! Si tratta, piuttosto, di una “fabbrica di terroristi”. Perché, in queste condizioni, sempre più giovani finiscono per ritenere che l’unica possibile, efficace forma di lotta contro il regime sia il ricorso alla violenza estrema e, dunque, al terrorismo dello Stato Islamico. Dittatura e terrorismo, insomma, sono le facce della stessa medaglia: si sorreggono a vicenda, l’una funzionale all’altro.
Nessuno – in Italia, in Europa, nel Nord del mondo – può dire di non sapere. I rapporti di organizzazioni internazionali come Amnesty o Human Rights Watch denunciano da tempo questa deriva di violenza e terrore imposta al popolo egiziano. Non vede questa verità soltanto chi non vuole vederla. E l’Italia sembra immergersi sempre di più nella schiera di coloro che non vogliono vedere, anche dopo il massacro di Giulio Regeni. Tanto per restare all’assemblea del Pd, ad esempio, non c’è stato nessuno che abbia contestato le parole di Renzi con questa verità sulla situazione generale dell’Egitto: sulla soppressione di ogni forma di libertà, sulla soppressione dei diritti umani, sulla soppressione fisica di migliaia di persone. Una verità non meno importante di quella chiesta sulla tragica morte di Giulio Regeni. E allora, se non si vuole vedere questa evidente realtà, suona falsa o, quanto meno, parziale e di comodo, anche la richiesta di verità e giustizia per il giovane ricercatore ammazzato a furia di torture. Oppure, se a morire sono gli egiziani, verità e giustizia sono un optional?
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