L’IDIOTA TATUATO

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La pratica del tatuaggio indelebile, imbrattare la propria epidermide in maniera definitiva, scaraventando drammaticamente nell’oblio il senso ineluttabile del tempo e del cambiamento, è l’emblema del comportamento Idiota per antonomasia, intendendo per idiozia la stupidità inconsapevole. Ma purtroppo, essendo divenuta una pratica molto comune, il tatuaggio diventa significato complesso, che può riguardare anche condizioni psicodisfunzionali come l’autolesionismo, fino a comprendere fenomeni narcisistici più o meno gravi.

Ovviamente nella maggior parte dei casi si tratta solo di un comportamento idiota indotto dal conformismo, dalla forza manipolatoria della cultura dominante. Questo perché siamo esseri essenzialmente culturali, molto più di quello che crediamo e che siamo disposti ad ammettere. L’uomo ha necessità della cultura, e specificamente del dato culturale particolare che è l’etica, per definire il bene e il male, significati fondamentali per gestire i comportamenti, le relazioni, e per creare un’idea di sé stabile e funzionale.

Si possono avere anche diversi modelli di riferimento culturale combinati insieme in una struttura individuale. Per esempio, la cultura d’origine per i significati più esteriori come le manifestazioni folcloristiche e idiomatiche, e una cultura estranea divenuta egemone per i significati più profondi, come il valore del sé, il bene e il male. Nel corso dell’evoluzione abbiamo imparato che seguire le indicazioni del più forte può essere utile per la sopravvivenza. In molti casi assecondare il vincitore può portare a fare la scelta giusta per evitare i pericoli e soddisfare i bisogni primari. Da questo nasce il conformismo e la tendenza alla sottomissione verso il potere, da cui nell’era moderna si sviluppa la pubblicità, il male profondo della nostra epoca, che si basa sullo sfruttamento dei meccanismi sociali umani di convenzionalità.

Quello che si sta compiendo nel nostro tempo, dove pur rimanendo tra le diverse etnie, anche molto distanti tra loro, diversità di facciata, come la lingua, usi e costumi che creano delle differenze rituali, è che la cultura anglosassone calvinista, divenuta egemonica per la forza mediatica, economica e militare che la supporta, è quella che dispensa i significati etici più profondi. Il valore del sé è divenuto per sempre più diverse culture originali quello calvinista del valore economico, “valgo se possiedo e valgo di più quanto più beni riesco ad accaparrare” dice l’etica egemone agli individui inconsapevoli di star compiendo una modifica sostanziale al proprio sistema di valori. Così la competizione s’impone sulla collaborazione, la vendetta sulla comprensione delle responsabilità e del perdono, la superficialità sulla complessità. E questo vale anche per l’estetica che con l’elaborazione del bello e del brutto é un potente strumento di relazione interpersonale

Questa modifica dei valori etici ci fa essere tutti uguali pur sembrando diversi. Il cambiamento ha visto un lungo processo d’infiltrazione delle culture da parte di quella anglosassone, che si è definito con forza negli ultimi decenni creando delle non apparenti ma decisive differenze etiche generazionali. Un ventenne italiano, ormai socialmente esposto alla sostanza della cultura calvinista risulta eticamente un alieno ad un suo connazionale maturo che non ha realizzato la propria mutazione dei valori morali. Tutto questo avviene senza che ci sia consapevolezza dei processi di trasformazione culturale, in una dimensione sociale nascosta che rende del tutto ignaro il singolo individuo, sempre convinto di agire secondo proprie motivazioni e scelte assolutamente indipendenti da qualsiasi esterna influenza. Lo stesso identico processo avviene nella manipolazione pubblicitaria, dove la vittima dell’informazione propagandistica, che sia questa riferita a un bene materiale o a un significato culturale, non percepisce l’influenza subita ritenendo l’adesione al valore trasmessogli una sua scelta autonoma e indipendente.

I significati etici indotti dalla cultura capitalista, dall’origine anglosassone calvinista, inducono anche alla perdita della valenza del cambiamento in favore di un estremizzato adattamento. L’azione dell’individuo o del gruppo sociale nei confronti di un problema critico nella relazione con la realtà esterna può essere essenzialmente di due tipi, adattamento, cioè modifica dei comportamenti e dei bisogni in favore della situazione ambientale, o di cambiamento della realtà esterna in appoggio alle esigenze soggettive o comunitarie. Pur avendo noi esseri umani una grande capacità di adattamento, il che ha permesso la vittoria della nostra specie nella lotta per la sopravvivenza e l’espansione demografica, a volte si rende necessario il cambiamento delle condizioni ambientali per risolvere il conflitto con la realtà quando questo mette in pericolo l’esistenza degli individui o crea In essi grave disagio e sofferenza.

La combinazione di negazione del cambiamento, funzionale al capitalismo che non può prevedere mutamenti nei suoi valori fondamentali del profitto, dello sfruttamento e dell’accumulo di ricchezza, della frustrazione indotta dai falsi obiettivi di felicità riferita al possesso di sempre nuovi beni di consumo e dal vano tentativo di soddisfare i bisogni di affettività e convivialità attraverso strumenti virtuali, induce sempre più conflitto e aggressività nelle relazioni e nelle forme comunicative sociali. Se devo credere che quel prodotto mi risolverà tutti i problemi e mi darà la beatitudine posso anche credere che la terra è piatta, o a idiozie concettuali come la meritocrazia, utili solo a legittimare le sempre più ampie disparità economiche. Oppure crederò che gli Stati Uniti, come la gran parte delle nazioni a regime capitalista, sono un paese democratico invece che parademocratico, cioè dove, nonostante la presenza di libere procedure elettive, non c’è effettiva democrazia se si ha la vana libertà di poter eleggere il dittatore. Nella parademocrazia c’è una sempre più ampia scarsità di partecipazione politica, una sostanziale identità di posizione tra i diversi contendenti che nei fatti rappresentano gli interessi finanziari di un potere oligarchico, e una sempre maggiore iniquità della ripartizione delle risorse.

Se si nega il cambiamento si nega il tempo, e qui torniamo all’idiota tatuato che non considera il tempo e il cambiamento, vive in un eterno presente dove per esorcizzare un minaccioso quanto sconosciuto futuro deve mettere in evidenza le poche certezze che è riuscito a recuperare fissandole permanentemente sulla sua pelle. A suo modo però è anche un po’ un eroe, e come tutti gli eroi che sacrificano il loro divenire per rimanere miti immutabili, l’idiota tatuato mortifica la sua epidermide per divenire simbolo sacrificale di un’epoca orfana di futuro. Un epoca anche, e forse soprattutto, esteticamente involutiva, dove nella rabbia della frustrazione il brutto sostituisce il bello, l’elegante con il rozzo, l’armonioso con il kitsch. E così che si espone a prode simbolo della nuova epoca un macchiato, futile, sgangherato, eroe idiota.


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