Ascolta l'articolo |
Le guerre prima di scoppiare fuori, tra i soldati armati, i civili inermi, le città barricate, nascono dentro le persone. Quello che si vede delle devastazioni, dei corpi martoriati, è la rappresentazione cruda, esteriore e drammatica, di un processo di distruzione e di violenza, che ha già avuto modo di esistere e di svilupparsi all’interno della psiche individuale e collettiva. Quando questa marea distruttiva non è più contenibile mediante i processi psichici di gestione dei conflitti, allora si riversa all’esterno per essere rappresentata concretamente.
La specie umana ha imparato nel corso dell’evoluzione a civilizzare la risposta aggressiva istintuale attraverso l’elaborazione psichica di questa. La sublimazione dell’aggressività e della violenza hanno favorito la convivenza sociale, producendo comunque dei residui nevrotici da questa conversione. Quando si abdica il bisogno individuale in favore delle esigenze sociali c’è da mettere in conto il pegno della mancata soddisfazione degli istinti egocentrici. Questo porta all’abbandono del mito della libertà derivata dalla soddisfazione dei bisogni tramite il principio del piacere, e lo sviluppo di fragilità che rendono l’uomo suscettibile di manipolazione e di sottomissione al potere.
Ogni individuo fa riferimento inevitabilmente ad una struttura culturale alla quale aderisce inconsapevolmente per la definizione dei valori primari, come quelli del bene e del male e del valore del sé. Una civiltà, come quelle di derivazione anglosassone calvinista a cui tende tutto l’occidente ma non solo, che esalta la competitività estrema tra gli individui, che denigra le fragilità e si rivela feroce con i deboli e accondiscendente con i forti, che definisce il valore di una persona in base alla capacità di questa di accumulare beni inevitabilmente a discapito degli altri, crea forti tensioni aggressive, soprattutto negli individui più a rischio di esclusione sociale.
Altro fattore che innesca la frustrazione individuale e quindi tensioni sociali, è la manipolazione e la mistificazione dei dati del reale. Questo avviene attraverso false informazioni sulla gestione dei bisogni, come accade con la pubblicità, con la promozione di valori funzionali agli interessi di ceti sociali dominanti e di gruppi di potere, e con l’utilizzo sostitutivo della naturale socialità attraverso le reti sociali informatiche. È proprio l’accumulo di frustrazione dato dalla inopportuna soddisfazione dei bisogni che risveglia gli istinti aggressivi non più contenuti dalla sublimazione civilizzante. L’aggressività ridestata cerca un obiettivo su cui sfogare la propria foga distruttiva, e con la necessità impellente di scaricare la tensione, può trasformare qualunque cosa che rappresenti anche simbolicamente una minaccia in un nemico da colpire.
Le grandi attività distruttive dell’uomo come la guerra servono sempre a consolidare il potere di chi lo dispone. Gli autocrati , facendo leva sulla frustrazione del popolo della quale sono quasi sempre i responsabili primari, incitano alla violenza contro il nemico, ben costruito dagli apparati di disinformazione, per poter dare valore alla propria posizione dominante. Egemonia che hanno il terrore di dover abbandonare se riconosciuti nella loro natura di egocentrici e crudeli despoti, privi di qualsiasi forma di empatia.
Le guerre e gli scontri sociali sono preparati spesso da conflitti culturali che tendono a far prevalere dei modelli di civiltà su altri. Questa battaglia avviene oggi utilizzando anche gli strumenti di comunicazione telematica ritenuti erroneamente imparziali. Chi non vede che l’utilizzo della socializzazione digitale sia connesso con l’apprendimento di schemi culturali propri degli interessi economici dei gestori di tali piattaforme, commette un grave errore. Nell’utilizzare Twitter, Facebook, Instagram, o gli altri mezzi di relazione sociale le cui finalità sono il profitto tramite pubblicità e raccolta dati, si aderisce inevitabilmente allo stile socio economico e culturale che sta dietro a tali mezzi comunicativi. Questo è il sistema delle pseudo-democrazie liberali, in realtà forme di oligarchie dominate dallo sfruttamento del lavoro e delle risorse dei sudditi a favore di una minoranza sempre più ricca e avida, pronta a supportare delle battaglie feroci pur di mantenere il proprio predominio.
Le guerre quindi le fanno i potenti, solitamente per accaparrare maggior potere. Ma alle guerre ci vanno soprattutto le persone normali che se potessero realmente scegliere, al netto dell’indottrinamento bellicista, probabilmente sarebbero in grande maggioranza contrarie ad ogni forma di scontro cruento. Qui sta anche il mistificante malinteso tra lotta di liberazione e guerra. Supportando la seconda si aderisce inevitabilmente agli interessi del gruppo di potere dominante di una delle fazioni in conflitto, con la conseguenza di inibire i processi di pacificazione. In tal modo si impedisce anche l’espressione della volontà del popolo, costretto a prendere le armi anche se contrario ad ogni forma di violenza. Diverso invece è supportare i gruppi di liberazione, che sono costituiti su base volontaria e quindi sono, con maggiore probabilità, l’espressione degli interessi della comunità.
Agire contro i conflitti sociali violenti, le guerre, significa esprimere il significato evoluto della propria esistenza. Ma significa agire anche contro gli interessi di potere ed economici pronti a impedire la sopravvivenza della specie umana pur di sostenere il loro ruolo dominante. Significa comprendere gli istinti primari dell’uomo e la sua capacità di conversione di questi in pace e armonia sociale. Significa, nelle controversie e nelle azioni diplomatiche a favore della pace e dell’interruzione dei conflitti, dare in prima istanza voce ai diretti interessati attraverso referendum e consultazioni popolari. Significa permettere loro la gestione delle controversie sociali, culturali, politiche e territoriali, impedendone l’utilizzo in qualità di scuse per l’apertura di scontri violenti da parte dei vari poteri guerrafondai. Significa ancora di consentire alla gente normale, direttamente coinvolta nelle crisi della convivenza comunitaria, di esprimersi liberamente sulla volontà di innescare, o proseguire, ostilità e violenze.
*INVIA UN COMMENTO VOCALE (Max 120 secondi). ---- Per registrare il commento vocale cliccare su Record, poi su Stop una volta terminata la registrazione. Infine cliccare su Save per inviare il contributo audio. (Inviando il contributo audio si autorizza alla sua pubblicazione.)
0
Lascia un commento