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Non so se a voi capita, a me sempre con maggior frequenza, d’imbattervi con l’incapacità di agire con responsabilità da parte dei vari interlocutori, fornitori di servizi vari, consulenti e professionisti, con i quali normalmente entriamo in contatto per le nostre esigenze comuni. La sensazione è che le relazioni funzionino abbastanza bene finché non si realizza una difficoltà che richieda la presa di responsabilità di una delle parti. Si ha l’impressione spesso che molte persone non dispongano di strumenti adeguati per gestire il conflitto generato da un problema più o meno grave, dal quale cercano di venir fuori negando ogni propria colpa, spesso scaricandola su altri.
Questo credo sia il risultato di vari fattori che hanno agito nella nostra società e che hanno creato cambiamenti di carattere culturale ed etico. Il modello consumistico che abbiamo adottato enfatizza l’autorealizzazione e l’individualismo, spesso a scapito della responsabilità personale e collettiva. La cultura espressa soprattutto dai nuovi media spesso glorifica modelli di comportamento che premiano l’apparenza e il successo rapido, piuttosto che l’impegno e la responsabilità. Il principio del valore economico come quantificazione del valore individuale crea inevitabilmente una maggiore attenzione agli interessi materiali personali, con lo sviluppo di avidità e mancata empatia, piuttosto che alle esigenze e alle difficoltà degli altri.
Un’altra condizione importante è quella coinvolta nelle relazioni familiari. I giovani adulti di oggi sono stati allevati da mamme e mammi, attentissimi a non creare conflitti ai loro pargoli, dove scompariva la figura paterna con le sue istanze etiche di responsabilità. La nostra civiltà occidentale ha svenduto la figura del padre a favore di modelli educativi iperprotettivi e deresponsabilizzanti per creare consumatori voraci, facilmente manipolabili, fragili di autostima e incapaci di indipendenza affettiva ed emotiva. Questi sono apparentemente adulti ma concretamente incapaci di qualsiasi assunzione di responsabilità. Entrano in crisi ogni qualvolta si crea un conflitto tra il proprio comportamento e il danno recato da questo ad altri. E in questi casi la reazione può essere anche grave, con tentativi di annientare l’origine del conflitto di cui partecipano solo la propria sofferenza.
E’ chiaro che finché si tratta di gestire la responsabilità di un intervento idraulico sul lavandino della cucina non perfettamente riuscito, la situazione sarà comunque fastidiosa per il cliente coinvolto, ma in qualche modo risolvibile. Ma quando gli irresponsabili si troveranno ad affrontare questioni importanti, decisive per la sopravvivenza della comunità o della specie, non vorrei trovarmi nei loro paraggi.
E per tutti quelli che leggendo questo articolo sugli U.R.L. (umano a responsabilità limitata) rimangono delusi, oltre che dalla sua brevità, dalla mancanza di proposte di soluzione del problema, la mia risposta ferma e decisa è: “E io che c’entro?”.
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