WALTER NON SI RICANDIDA. E DIVENTA UN EROE

Walter Veltroni superstar. Ha suscitato grande interesse e apprezzamento la sua decisione di non ricandidarsi nelle prossime elezioni. Per dichiararlo ha scelto la platea più ampia: la televisione, in una trasmissione popolare come Che tempo che fa, di fronte a milioni di spettatori. Un annuncio ad effetto, dunque, spettacolare prima ancora che politico. Del resto, con la politica spettacolo degli ultimi anni, con certi salotti televisivi che hanno sostituito di fatto il Parlamento, discrezione e sobrietà sono merce rara, quasi introvabile, tra ministri, senatori, deputati, presidenti di Regione, consiglieri regionali e via elencando. Tutti convinti che “l’apparire” ed enfatizzare le proprie scelte, grandi o piccole che siano, prima o poi paga. 

Ha fatto lo stesso calcolo anche Veltroni? Forse. Nessuno può affermarlo o negarlo con certezza. Certo è, in ogni caso, che ha deciso di lasciare il Parlamento. E, un minuto dopo il suo annuncio, i giornali hanno titolato la notizia a tutta pagina, mentre lui si è guadagnato un mare di complimenti ed elogi. Molti di meno, probabilmente, ne avrebbe ricevuti e molto meno clamore avrebbe suscitato se si fosse limitato a comunicare la sua scelta al segretario nazionale del Pd, il suo partito, alla vigilia della compilazione delle liste. Anzi, ora è indicato come esempio. Matteo Renzi, il sindaco di Firenze che punta a Palazzo Chigi e che ha in programma di “rottamare” tutti i “vecchi” del Pd, più in base all’anagrafe che ai meriti, ha subito specificato che ora altri esponenti “anziani” del partito dovrebbero tirarsi indietro. Altri, di contro, prendendo a prestito le parole stesse di Veltroni, insistono che la giovinezza, in politica, si misura non con l’età ma con la freschezza e la novità delle idee. Salvo a coprire di elogi anche loro la decisione presa “dall’amico Walter”.

Non uno, in questo coro un po’ troppo mieloso, che ricordi un particolare. Lo statuto del Pd stabilisce che si possono fare in Parlamento non più di tre legislature. Bene, Veltroni ne ha fatte ben sei: la decima (eletto nella vecchia circoscrizione di Roma, Frosinone, Latina, Rieti e Viterbo), l’undicesima (Perugia e Terni), la dodicesima (Umbria), la tredicesima, la quattordicesima e la sedicesima (Lazio 1). Ha saltato la quindicesima perché era sindaco di Roma dal primo giugno del 2001, incarico che lo ha costretto a lasciare il Parlamento anzitempo nella quattordicesima legislatura: si è dimesso il 26 maggio, cinque giorni prima di salire al Campidoglio. E non si è trattato di esperienze fatte in seconda fila. Al contrario. E’ stato vicepresidente del Consiglio e ministro dei Beni Culturali con il governo Prodi dal 1996 al 1998, componente della Commissione Esteri dal 2008 e della Commissione Antimafia. Senza contare gli incarichi di partito, incluso quello di segretario nazionale.

Visto che è reduce esattamente dal doppio delle legislature previste dal regolamento del Pd, allora, lascia un po’ perplessi questo mare di apprezzamenti e il clamore con cui è stato commentato il suo “tirarsi indietro”. Si potrebbe obiettare che ce ne sono tanti di parlamentari Pd nelle condizioni di Veltroni. A cominciare da Massimo D’Alema, il suo “amico-avversario” di sempre. Ma, ad esempio, anche Anna Finocchiaro, Livia Turco… E, ancora, si potrebbe ricordare, sotto il profilo formale, che per i leader il regolamento prevede una deroga al tetto massimo di tre esperienze in Parlamento. E’ vero. Ma anche questo desta perplessità. C’è da chiedersi, ad esempio, quanti sono gli esponenti del Pd da considerare “leader” e in base a quali criteri. Solo il segretario? Gli ex ministri o i “reduci” da incarichi di prestigio? Il carisma televisivo? La capacità dialettica? Insomma, partendo dal vertice, fin dove si scende nella scala per indicare i personaggi degni di sfondare il limite ed essere così più “uguali” degli altri? Perché di questo si tratta: i leader, evidentemente, sono considerati più uguali degli altri.

Comunque si giri la questione, resta il fatto che Veltroni ha deciso di lasciare il Parlamento dopo aver fatto il doppio delle legislature normalmente previste dal regolamento del Pd. Ha fatto, in fondo, il suo dovere, quello che avrebbe dovuto fare già,  magari quando aveva detto che era sua intenzione mollare la politica nazionale, per dedicarsi ai gravi problemi dell’Africa. Eppure è stato sommerso di complimenti e continua a fare notizia. Allora viene da pensare che questo paese è ridotto davvero male se rispettare semplicemente le norme e fare il proprio dovere diventa una “notizia”: un gesto dal merito enorme. Perché vuol dire che le deroghe personali o, peggio, il mancato rispetto, a qualsiasi titolo, di leggi e regolamenti sono così diffusi da essere ormai considerati una cosa del tutto regolare. Ed accettata da tutti.


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