Intervista a Don Zerai dell’agenzia Habeshia
Circa 670 euro. A tanto ammonta la spesa per ogni vita umana salvata lo scorso anno con l’operazione Mare Nostrum: 114 milioni (9,5 al mese per dodici mesi) a fronte di quasi 170 mila donne e uomini aiutati a raggiungere l’Italia e l’Europa. Ma si è detto che questa spesa non era sopportabile per le finanze italiane ed europee. Verrebbe da pensare che un uomo, per certa politica, vale meno di 600 euro. Certo è che Mare Nostrum è stata soppressa per mettere in campo Triton, un programma che prevede non interventi di salvataggio in mare ma esclusivamente il controllo e la difesa delle frontiere e solo incidentalmente, se capita, insomma, le procedure di soccorso.
Ora, sulla scia dell’emozione suscitata dall’ennesima strage, con circa 800 vittime, la più grave di tutti i tempi nel Mediterraneo, l’Unione Europea ha messo in campo una strategia basata su dieci punti. Ne parliamo con don Mussie Zerai, il presidente dell’agenzia Habeshia, candidato al Premio Nobel per la Pace, che da anni contesta “l’inerzia e l’ipocrisia” delle cancellerie del Nord del mondo. E che non lesina critiche: “Il nostro cuore – sbotta subito – è colmo di dolore per la strage dei profughi e il silenzio dei potenti della terra. Da 15 anni assistiamo alla morte di migliaia di migranti, ma l’Europa non sa fare altro che sfoderare parole di circostanza. Ipocrisia su ipocrisia. Un’Europa che spende miliardi in armamenti ma dice di non avere soldi per salvare vite umane. Moltiplica gli strumenti di morte e non ha voglia di guardare al caos provocato in Africa e nel Medio Oriente. In tutta una serie di paesi diventati mercato fiorente dove vendere armi e rapinare le risorse naturali o da cui far venire lavoratori a basso costo da sfruttare… Ora arrivano questi ‘dieci punti’. Non mi sembra che cambi molto rispetto al passato”.
Ecco, esaminiamo uno per uno questi punti.
– Rafforzamento delle operazioni congiunte nel Mediterraneo (Triton e Poseidon), aumentando le risorse finanziarie, potenziando la dotazione di uomini e mezzi ed estendendo eventualmente l’area operativa, in modo da intervenire su un raggio più ampio, ma sempre nell’ambito del mandato di Frontex.
Don Zerai: “E’ poco chiaro che cosa si intenda quando si specifica ‘nell’ambito del mandato di Frontex’. Il punto è cambiare radicalmente le regole di ingaggio. Frontex ha il compito di sorvegliare le frontiere e non di salvare vite umane. Interviene in operazioni di soccorso solo quando riceve richieste specifiche ma è obbligato a farlo: altrimenti violerebbe le leggi internazionali e il codice del mare. Tutt’altra cosa era il mandato di Mare Nostrum, che arrivava a pattugliare il Mediterraneo fino al limite delle acque territoriali libiche. E’ una risposta che continua la linea di indifferenza seguita finora: la poca voglia di impegnarsi in una missione volta a proteggere la vita delle persone in pericolo”.
– La cattura e la distruzione dei barconi utilizzati dai trafficanti: in sostanza, la riproposizione nel Mediterraneo dell’operazione Atalanta contro la pirateria.
“Questo progetto presuppone la collaborazione del governo libico. Ma quale governo? Con quello insediato a Tripoli o con quello di Tobruk, riconosciuto dalla comunità internazionale ma che non esercita alcun controllo sul paese ed è anzi quasi sotto assedio da parte delle varie milizie che si contendono il potere, incluse quelle dell’Isis? Insomma, è una proposta che definire irrealistica è ancora poco”.
– Le agenzie Europol, Frontex, Easo, Eurojust si incontreranno regolarmente e lavoreranno a stretto contatto per raccoglier informazioni sul modus operandi dei trafficanti, per tracciare le fonti dei finanziamenti delle organizzazioni criminali, per coordinare e collaborare nelle indagini.
“E’ una cosa tanto ovvia che non andrebbe nemmeno annunciata. Dovrebbe, anzi, avrebbe dovuto funzionare in questo modo da tempo. Comunque, speriamo che davvero sia così: è dal 2009 che chiediamo di seguire il flusso del denaro per rintracciare i trafficanti, esattamente come ha fatto la magistratura italiana per risalire ai vertici della mafia. Vedremo se alle parole seguiranno finalmente i fatti”.
– Verranno inviati team tecnici in Italia e in Grecia per trattare in modo congiunto le domande di asilo.
“Era ora. Ma questo presuppone il superamento del regolamento di Dublino 3, che vincola i migranti al primo paese al quale si rivolgono per chiedere aiuto. Altrimenti, a che cosa serve un provvedimento di questo genere?”.
– Gli Stati membri dell’Unione Europea garantiranno l’identificazione e la raccolta delle impronte digitali di tutti i migranti.
“Va bene l’identificazione. Ma il punto restano i regolamenti di Dublino 1, 2 e 3, una vera e propria gabbia per i profughi che non desiderano restare nel primo paese in cui sono arrivati, via mare o via terra, ma stabilirsi altrove, dove hanno magari parenti o amici pronti ad aiutarli o dove, più semplicemente, vedono la prospettiva di un futuro migliore, rispetto alle condizioni di degrado, discriminazione, sfruttamento, pressoché totale impossibilità di inserimento che li attendono in Italia o in Grecia”.
– Verranno valutate le opzioni per un meccanismo di trasferimento d’emergenza.
“Si continua a parlare di emergenza, ignorando o facendo finta di ignorare che siamo di fronte invece a un enorme problema mondiale, radicato e ampiamente annunciato: una catastrofe umanitaria che richiede interventi ‘strutturali’, non ‘emergenziali’. Il caos, le stragi, le sofferenze di migliaia di persone derivano proprio da questo approccio errato o ‘volutamente errato’. E sappiamo fin da adesso che questa catastrofe è destinata ad aumentare nei prossimi 15 anni se non si attuerà una politica di pace nel Corno d’Africa, nell’Africa Sub Sahariana e nel Medo Oriente. Se, in concreto, non ci saranno investimenti per lo sviluppo e una svolta coraggiosa nella politica europea. Tutto il resto sono solo parole al vento”.
– Un ampio progetto pilota europeo di reinsediamento dei profughi, su base volontaria, che offra posti alle persone bisognose di protezione.
“Sembra solo una dichiarazione d’intenti: non si specifica, ad esempio, né come, né dove. E poi, se è solo su base volontaria, sappiamo già, per esperienza, come vanno le cose… Insomma, ancora una volta, tanto fumo…”.
– Un nuovo programma di rapido rimpatrio dei migranti irregolari, dagli Stati “in prima linea”, coordinato da Frontex.
“Va ribadito con forza il no ai respingimenti senza prima verificare il diritto di ogni singolo migrante a chiedere asilo o un’altra forma di protezione internazionale. E occorre accertare preventivamente che le persone rimandate nel loro paese d’origine non corrano alcun pericolo per la propria vita e la propria libertà. Senza contare un aspetto totalmente trascurato: se il rimpatrio non verrà accompagnato da progetti di inserimento sociale e lavorativo negli Stati di provenienza, certamente queste persone tenteranno di nuovo di arrivare in Europa. E il problema si riproporrà da capo”.
– Impegno di collaborazione con i paesi che confinano con la Libia, attraverso uno sforzo congiunto tra la Commissione e il Servizio europeo per l’azione esterna (Seae). Vanno intensificate iniziative analoghe in Niger.
“Ha tutta l’aria, ancora una volta, di una politica pilatesca, che mira ad affidare a ‘terzi’ la gestione dei profughi, ma che non potrà durare a lungo. Oltre a mettere in difficoltà i paesi ai quali si vuole assegnare il ‘lavoro sporco’, aumenteranno inutilmente le sofferenze dei profughi. E i trafficanti apriranno altri itinerari per portare verso l’Europa i disperati in fuga dal proprio paese. Non c’è muraglia che tenga: prima o poi, sulla spinta anche di una diffusa corruzione, le maglie si allargheranno. E’ eloquente quanto è accaduto ai tempi di Gheddafi in Libia”.
– Invio di funzionari di collegamento, per i problemi dell’immigrazione, in paesi terzi, per raccogliere informazioni sui flussi migratori e rafforzare il ruolo delle delegazioni Ue.
“Ancora una proposta in chiave difensiva della Fortezza Europa. Nessuno che pensi ai diritti e alla tutela dei profughi: i pericoli mortali che queste persone corrono giorno per giorno non sembrano interessare. In tutti questi dieci punti, insomma, prevale la volontà dell’Europa di ‘difendersi’ da chi bussa alle sue porte per chiedere aiuto e protezione. Non è stata spesa una sola parola su come alleviare le sofferenze di milioni di donne e uomini perseguitati da guerre, terrorismo, dittature, discriminazioni politiche, religiose, razziali, fame, carestia, miseria endemica. E’ una scelta che colma il cuore di dolore e delusione: la civile Europa sta facendo essa stessa cadere il mito di essere la patria dei diritti umani, degna del Premio Nobel per la Pace”.
Emerge, dai giudizi su questi dieci punti, che Italia ed Unione Europea, in pratica, hanno proposto interventi che danno risposte alle “nostre paure” piuttosto che ai diritti, alle esigenze, alla vita stessa di migliaia di profughi.
“E’ proprio così. Voglio citare, a questo proposito, l’ultima, terribile richiesta di aiuto arrivata all’agenzia Habeshia. Riguarda circa 400 eritrei ed etiopi rinchiusi in una ex scuola vicino a Misurata. Mercoledì uno di loro ha telefonato, raccontando che sono finiti in balia di miliziani fedeli al governo di Tripoli. Per catturarli quei miliziani hanno ingaggiato un conflitto a fuoco con un altro gruppo che li teneva prigionieri. Nella sparatoria tre eritrei sono morti. Altri cinque feriti e ora non si sa che fine abbiano fatto. Martedì, circa 50 donne sono state prelevate da uomini armati e portate via: non si sa dove, né tantomeno perché siano state separate dagli altri. Non solo: ogni tanto arriva nella prigione una donna libica, preleva un certo numero di profughi e li porta in una specie di luogo di compravendita, pretendendo dai 2.000 ai 2.500 dollari a persona per il rilascio. Tutto lascia credere che questa donna sia in collegamento con gli intermediari eritrei, etiopi, sudanesi e somali che organizzano la traversata verso l’Italia in collaborazione con i libici. E la vita in carcere è durissima: i migranti vengono costretti ad osservare gli orari delle preghiere islamiche e chi non prega viene pestato dai miliziani di guardia. Ecco cosa accade in quelli che in Italia sono stati definiti ipocritamente centri di accoglienza. Ma nei ‘dieci punti’ non c’è praticamente nulla per fronteggiare situazioni del genere. E quanto accade oggi in Libia potrebbe accadere domani in Niger, in Chad, Tunisia, Algeria… La verità è che non c’è alcuna garanzia in campi come questi, a prescindere dalle ‘sigle’ sotto cui sono aperti. Perché sono le stesse forze di polizia e di sicurezza, spesso, a sfruttare e a perseguitare i prigionieri. In quel carcere di Misurata ogni tanto arrivano operatori dell’Oim. Ma non è un’ispezione. Si limitano a portare qualche coperta o saponetta. Senza fare nulla per la protezione e la liberazione di centinaia di persone detenute in condizioni degradanti per la dignità umana”.
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