IL MONDO E’ QUESTO

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«Cos’è? Un costume di scena?». Chiese lui quando vide la foto. Lei era appoggiata con il gomito sul tavolo, la testa piegata di lato e sorretta dalla mano. Da una specie di blusa verde s’intravedeva un reggiseno tutto pieno di perline, un po’ come quello usato dalle spogliarelliste degli anni quaranta. Lei, come spesso accadeva, tirava fuori dalla sua borsetta decine di foto, del padre morto, della madre, delle sue vacanze. Così aveva fatto anche durante il viaggio. Diceva: «Qui ero felice, guarda com’ero felice!».

Poi rimaneva fissa su qualcuna delle immagini, tanto che lui si sentiva in dovere di chiederle spiegazioni o di fare qualche apprezzamento. Quelli sulla presunta bellezza del padre erano quelli che lei amava di più. Aveva una grande adorazione per il padre, che aveva perso quando aveva ventitré anni.

Erano seduti sul ponte della nave, non c’era un vento eccessivo. Valeria aveva una mano infilata nella manica della maglietta di Marco, gli accarezzava il braccio con le unghie. Lei si guardava intorno, lui si era concentrato sul contatto della sua mano e pensava a tutto il resto del suo corpo attraversato dalle piccole mani di Valeria, morbide, lisce, leggere.

Il traghetto sobbalzò, erano arrivati. La loro vacanza poteva cominciare.

Avevano preso in affitto una stanza sul porto trovata con un annuncio sul giornale. Non era niente di che, però faceva al caso loro. Economica e sufficientemente discreta. Una volta attraccato presero i pochi bagagli e scesero dalla nave. Lei aveva tre piccole borse invece di una grande e lui il solito zaino con dentro tutto quello che poteva servirgli per tre notti.

Il paese era piccolo. La maggior parte delle case si ammassavano attorno al porto, dando l’impressione che chi le aveva costruite avesse paura di sprecare troppa campagna alle spalle, oppure di non poter fare a meno della vista e dell’odore del mare. Alcune costruzioni erano a tre piani e sembravano altissime, viste dalla banchina. Entrarono in una di queste. Al terzo piano, in un edificio che era una specie di albergo, c’era la loro stanza. Aveva un letto di legno impiallacciato, seminuovo. Un armadio che sembrava leggerissimo con gli sportelli che non si chiudevano, qualche marina attaccata alle pareti. Il bagno era enorme ed era rivestito con delle piastrelline blu cobalto. Lei era intenta a svuotare le borse e a mettere a posto il contenuto all’interno dell’armadio. Lui inquadrò la scena, inquadrò lei, una donna di quasi cinquant’anni, nella sua mise estiva, i sandali di coccodrillo verde acido, il suo vestitino pieno di pizzi grigio-azzurro. Il cappellino, il reggiseno (lo stesso della foto?) di cui intravedeva la chiusura sulla schiena. Ebbe d’improvviso una sensazione di imbarazzo, quasi di grottesco. Il pensiero delle sue gambe lo fece distrarre. La stanza aveva anche un balcone. Marco lanciò lo zaino sul letto e uscì a guardare il mare.

Sul balcone c’erano due sedie che sembravano provenire da un vecchio bar. Erano di ferro laccato bianco con fili di plastica intrecciati, rossi. Lui si sedette e guardò la loro nave che si allontanava dal porto con un muggito, lasciando dietro di sé una scia schiumosa, bianca e grigia.

«E guarda questa…». Lei lo aveva raggiunto sul balcone con un’altra delle sue foto. Era uno dei suoi proverbiali viaggi in barca. Si vedeva un gruppo di persone a prua, forse due uomini e una donna. Poi c’era lei, un po’ più indietro appoggiata all’albero dell’imbarcazione: era girata verso il fotografo e sorrideva. Era lei in una delle sue infinite espressioni che rimanevano un mistero. Dava la sensazione che non pensasse, o che pensasse cose strane, o comunque che non pensasse qualcosa che avesse a che fare col contesto. Era sempre avanti o sempre indietro, o sempre altrove. Ma forse questo la faceva apparire concreta, attaccata solo al presente. Nel suo essere altrove pareva non barcollasse mai.

Guardò a lungo quella foto per trovare qualcosa da dire oltre all’istintivo apprezzamento per il suo magnifico sedere infilato in un paio di pantaloni bianchissimi. Non trovò nulla. Fu improvvisamente distratto da un gruppetto di bambini vocianti che giocavano a pallone proprio lì sotto. Lei nel frattempo si era allontanata, lui si girò verso la stanza, vide che si infilava nel letto. Lui fece lo stesso e un minuto dopo si sentì tutto invaso da un calore umido e poi fresco e non pensò più a niente.

Si risvegliò da solo che ormai era buio. Dalla porta finestra della stanza proveniva una brezza tiepida che faceva ondeggiare la tenda bianca trasparente. Si affacciò al balcone: le poche luci accese nel porto gli diedero una sensazione di malinconia. Un po’ come quando nel paese che frequentava da bambino per le vacanze estive arrivava settembre, le giornate si accorciavano e bisognava rincasare prima. Si aprì la porta e lei si presentò in accappatoio giallo con un asciugamano rosa pallido arrotolato in testa. Ricordava una tartina al salmone, pensò. «Dovevi venire», disse con una voce squillante «il padrone di casa mi ha indicato un posto qua dietro dove si può fare il bagno. L’acqua è trasparente, bellissima». Lui si sedette sul letto, lei entrò nel bagno lasciando la porta aperta. Si tolse l’accappatoio e rimase nuda. Armeggiò in una tasca della borsa e tirò fuori un costume rosso. Poi si tolse l’asciugamano e scosse i suoi capelli biondi lunghissimi.

La sera uscirono per cena. Lei scelse un ristorante dove era stata l’anno prima. Era in un vicolo tra le case bianche, non troppo lontano da una grande terrazza in alto sul mare dove poco prima si erano fermati a guardare giù. Mangiarono in silenzio, rotto solo dai mugugni di approvazione per ciò che mangiavano. Lei sembrava contenta, lo guardava con espressioni amorose e ogni tanto allungava qualche calcetto sotto il tavolo, accarezzandogli le gambe con i piedi nudi e caldi. Lui si chiese per un attimo che cosa potesse pensare la gente di loro due. Lei si portava benissimo i suoi quarantanove anni, è vero, ma lui aveva proprio un’aria da bambino. Concluse il suo pensiero dicendosi che non gli importava nulla, anzi gli sembrava che nessuno ci facesse caso.

Il mondo è questo, pensò. E mentre pensava guardava fuori, attraverso tutto quello che c’era tra lui e la porta d’ingresso. Lei si alzò e gli diede un bacio. «Non ti resisto quando guardi in quel modo», disse.

Marco era affezionato a Valeria, gli sembrava che lo capisse più degli altri. Era una bella donna, intelligente. Si sentiva invaso da una vampata di calore quando gli faceva certi complimenti, che diceva che lo amava, insomma. Ogni tanto la guardava per quello che era, una donna che aveva più del doppio dei suoi anni, e si concentrava sui suoi difetti. Ogni tanto pensava che prima o poi sarebbe finita, che non poteva durare così a lungo. Ormai si conoscevano da quasi un anno e benché non si frequentassero così spesso, il loro era ormai un rapporto di un certo peso. Valeria piaceva molto a Marco, anche con tutta quella differenza di età. Forse l’amava, anche se era lei che badava a lui per le spese dell’università, e molto altro ancora: qualche vestito, le scarpe, questa vacanza che aveva pagato lei e che quando stava per restituirle i soldi avanzati per il biglietto della nave, gli aveva detto: «Tienili». Pensava che in fondo Valeria se lo poteva permettere e anche lui, a parti invertite, avrebbe fatto lo stesso. È possibile amare una che ti mantiene?

In ogni caso, questo era il mondo.

La sera, mezzo brillo nel letto insieme a lei, gli sembrò di navigare in una barca piena di bocche, seni, cosce, camicie trasparenti, labbra, grandi labbra, grandi natiche, capelli e ancora capelli e schiene. Era un marinaio in una tempesta di umori e profumi, di carne morbida, era in un vortice nel quale sembrava impazzire. La inseguiva tra le lenzuola, poi fuori, poi entrava la luna dentro il letto, il letto beccheggiava come colpito da onde sempre più alte, ed era il delirio. Un attimo dopo c’erano solo il silenzio e la sua mano.

Il giorno seguente presero un’auto a noleggio e cercarono una spiaggia decente per prendere un po’ di sole.

«Gira a destra, ora a sinistra. Fermati».

Guidava lui ma lei indicava la strada con una certa sicurezza. E in effetti poco dopo arrivarono a una stradina che conduceva direttamente al mare dove c’era una specie di chalet di legno scuro con un minuscolo bar dentro. «Fermiamoci qui, il posto è rimasto tale e quale», disse Valeria.

Il sole scottava e lei si mise sdraiata sul suo asciugamano color marrone che aveva steso sulla sabbia. In costume le usciva qualche difettuccio, pensò lui, e alla luce del sole era un po’ peggio che alla luce della luna, Intorno era pieno di ragazze giovani, vent’anni o trenta, e nel paragone anche con qualche signora più giovane, forse Valeria ci avrebbe perduto. Smise di pensare a questo perché decise di andarsene all’ombra, seduto a un tavolo del bar. «Vado a leggere un po’», disse. Lei nemmeno rispose, forse si era addormentata.

Provò a leggere ma non resse al caldo e alla sonnolenza. Dormì una mezzoretta appoggiato al tavolino.

Una volta sveglio, tornò da lei che era rimasta immobile nella stessa posizione.

«Ti va una birra?», le chiese.

«Amore», disse lei «si dice ti va una birra amore».

Lui sorrise. Valeria faceva sempre così, sottolineava i silenzi di lui, lo rimproverava quando era brusco, lo addolciva quando mostrava i suoi tratti spigolosi. Gli sembrava che lei lo facesse anche un po’ per ribadire il possesso ma Marco trovava piacevole che qualcuno si occupasse di lui in quel modo.

«Andiamo dentro che si sta più freschi», disse Valeria.

Si avvicinarono al bancone. Dopo qualche secondo una voce da dietro: «Cosa posso offrire a questa bella signora?». Era un tizio sui sessant’anni, completamente pelato, piuttosto alto.

Valeria rispose: «Salve, anche lei da queste parti, che combinazione… Niente grazie, abbiamo già fatto».

Il tizio fece un baciamano dal quale a stento Valeria cercò di sottrarsi. «Allora sarà per un’altra volta». E così dicendo sparì con una camminata un po’ rigida e con la sua pelata al sole. Durante il breve viaggio di ritorno in auto Marco pensò che quel tipo forse lo aveva già visto.

Mentre lui guidava, lei lo stuzzicava per scherzare con dei pizzicotti sulle gambe. Lui sorrideva e si difendeva catturando una per volta le mani di Veleria che saltellavano sulle sue ginocchia, tenendo a stento una mano sul volante.

Il pomeriggio passeggiarono lungo la strada che costeggiava il mare. Passavano poche macchine e fu piacevole. Il panorama era bellissimo e si vedeva la terraferma laggiù, in lontananza. Imbarcazioni tagliavano il blu del mare con lunghe scie bianche. Una petroliera lentamente sparì di scena. Si abbracciarono e baciarono spesso. Lungo la strada del ritorno fecero uno spuntino in un bar e poi tornarono alla stanza. Lui era stanco morto e si addormentò che c’era ancora il chiarore del tramonto.

L’indomani si svegliò presto e al posto di Valeria c’era un biglietto: «Ci vediamo dopo pranzo. Aspettami in spiaggia, se vuoi. V.».

Lui si affacciò al balcone. L’auto era ancora lì dove l’avevano lasciata il giorno prima. Decise che avrebbe fatto un giro dell’isola alla ricerca di un posto dove leggere in santa pace e magari mangiare qualcosa. Non gli dispiaceva affatto avere una mezza giornata per starsene per conto proprio. Aveva bisogno di stare senza di lei, ogni tanto. O forse cercò di convincersi di questo. Si disse che non capiva fino in fondo i suoi modi un po’ infantili, alla sua età, di manifestare il sentimento nei suoi confronti. Non capiva e a volte non apprezzava quell’amore che sembrava ossessivo.

Al bagno si guardò allo specchio. «Stavolta i capelli non me li taglio», pensò guardando di tre quarti la sua chioma castano chiara che era sempre più folta e gli conferiva un aspetto quasi selvaggio. Si vestì e raggiunse la macchina. Prese una strada che saliva al paese vecchio. Lì trovò una locanda con una veranda ricoperta da una pianta di kiwi. «È orribile», pensò «però c’è ombra».

Era ancora presto per pranzare e decise di fermarsi a leggere uno dei libri che si era portato. Ne scelse uno che parlava di un processo per corruzione nella Milano degli anni Cinquanta. Serviva per un esame di diritto penale. Chissà se quest’anno sarebbe riuscito a toglierselo dalle scatole. Aveva saltato già tre sessioni. Provò ad immergersi nella lettura e per più di una volta fu distratto da passanti che parlavano ad alta voce. Era quasi mezzogiorno e ordinò dell’affettato, olive, pomodori e mezzo litro di vino bianco. Ai tavoli del locale non c’era nessuno. Solo un anziano straniero, «un tedesco», pensò, che stava studiando attentamente una carta stradale seduto a un tavolo a una decina di metri da lui.

Mentre mangiava, con la coda dell’occhio notò dall’altra parte della piazza rispetto alla locanda la figura di un uomo che usciva da una banca con una busta in mano. Guardò meglio e vide che era il tizio del baciamano del giorno prima e improvvisamente si ricordò di dove lo aveva già visto. Era accaduto l’inverno precedente. Il tizio era seduto a un tavolo di un bar del quartiere dove abitava Valeria. Un giorno lui e Valeria erano passati davanti al bar, lui le aveva sorriso e lei aveva risposto con un cenno. La scena si era anche ripetuta. Marco a un certo punto aveva chiesto a Valeria chi fosse. A Marco quel tipo era sembrato strano, molto diverso da lei, nei modi e nell’aspetto. Era un po’ rozzo e vestiva in modo ordinario, anche se pulito e stirato. Sembrava un poliziotto o un carabiniere e si era chiesto come poteva aver a che fare con una che scriveva poesie.

«È un vecchio conoscente», aveva risposto lei, lapidaria.

Il tizio si diresse verso un’auto grande e grigia parcheggiata lungo il marciapiede e porse la busta attraverso il finestrino a una donna seduta in auto, prima di salire, mettere in moto e partire: l’auto fece un mezzo giro per invertire la marcia e passò proprio davanti a lui. La donna seduta era Valeria. Fece in tempo a vedere che stava mettendo la busta nella borsa che teneva sulle ginocchia nude, proprio lì era appoggiata la mano del pelato. Sentì improvvisamente un fendente allo stomaco, come una stilettata. Una sensazione simile a quando andava all’università per un esame. Una stretta allo stomaco che non lo abbandonava mai fino a quando non si sedeva davanti al professore. Ma stavolta era stato un po’ diverso. Qualcosa di più intenso e più breve, come una scossa. Si scoprì con gli occhi fissi sul punto dove era passata l’auto mentre il cameriere chiedeva: «Desidera altro?». Lui si riebbe, pagò quello che c’era da pagare: tirò fuori tutte quelle banconote “avanzate” dalla prenotazione del traghetto. Mise sul tavolo una di quelle di taglio più piccolo e si precipitò in auto. Acceso il motore, partì con una leggera sgommata ripercorrendo la strada in discesa verso il porto guidando più veloce che poteva. Arrivò al porto e parcheggiò l’auto dove stava prima. Corse su alla stanza facendo le scale a due a due. Entrò, rovesciò tutti i libri sul letto: «il mondo è questo, il mondo è questo», pensava. Si tolse le scarpe e si sdraiò sul letto. Da un momento all’altro lei sarebbe tornata.

Dopo poco lei aprì la porta della camera. Valeria era tornata, forse dopo un pranzo con il tizio. Comunque dopo esserci andata a letto. Infilandosi in bagno e chiudendosi la porta alle spalle, lei disse qualcosa tipo «sei stato tutto il giorno qui dentro» o una roba del genere. Ma lui, come preso da una febbre, iniziò velocemente a pensare a tutte le volte che non l’aveva trovata in casa, o che aveva trovato il telefono occupato. A tutte le cose che lei aveva detto: i posti più strani dove era andata per spiegare la sua assenza. Pensò a quell’altro tipo con cui l’aveva vista pranzare un paio di volte, all’anziano pittore che lei spesso accompagnava alla stazione. «Anche lei qui, che combinazione», aveva detto al pelato il giorno prima. Tutto questo e altro pensò. E tutto quadrava alla perfezione. La sua fantomatica rendita forse non era mai esistita e di certo non poteva badare a se stessa e mantenere lui scrivendo poesie.

Tant’è che quando andò a frugare nella sua borsa sapeva già che cosa avrebbe trovato in quella busta: soldi. C’erano una decina di banconote e un biglietto. Gli scappò un sorriso nel vedere che era scritto a macchina: «incantato dalle sue grazie, Signora».

«Un ex carabiniere», pensò «o un ex finanziere». Rimise la busta al suo posto e in quel momento uscì lei, avvolta nell’asciugamano rosa, le gambe completamente scoperte. Poco prima lei era stata con lui, con quel tizio. Di nuovo il fendente, quel piccolo intenso dolore all’altezza della bocca dello stomaco.

«Andrò a fare un bagno», disse Marco prendendo il suo accappatoio e precipitandosi giù per le scale. «Il mondo è questo, il mondo è questo», pensava ossessivamente mentre correva giù, verso la spiaggia indicata dal padrone di casa. Pensò che l’indomani sarebbero tornati in città. Pensò che non avrebbe detto nulla a Valeria, che avrebbe lasciato tutto com’era, che avrebbe fatto finta di niente. Che la vita sarebbe ripresa uguale a prima. Almeno finché durava. Gli conveniva fare una scenata? Non sarebbe stato ridicolo? E soprattutto, che cosa ci avrebbe guadagnato? Entrò nell’acqua tiepida del pomeriggio: stava cercando di calmarsi. Si guardò intorno, fece qualche bracciata nuotando verso il largo. Lentamente si placò. Smise di nuotare e si lasciò andare, iniziando a galleggiare sul dorso, le braccia e le gambe aperte, facendosi portare dalla leggera corrente. Aveva ragione Valeria: l’acqua di quel posto era trasparente, era bellissima.


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